Chi è infastidito dal presepe? Una riflessione sul caso di Bergamo

Per essere “aperto e dialogante”, bisogna essere per forza intollerante?

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Si avvicinano le vacanze natalizie e come ogni anno non mancano polemiche su quelle scuole nelle quali è impedito l’allestimento dei presepi. Le ultime notizie su questo tema giungono da Bergamo, dove Luciano Mastrorocco, preside dell’Istituto Comprensivo De Amicis, non ha nei fatti permesso la presenza di presepi nei locali dell’istituto.

Da quello che è dato capire, il preside ha agito di propria iniziativa, a suo dire in accordo col corpo docenti, e non a seguito delle lamentele di genitori di alunni stranieri. Ci sembra opportuno evidenziare questo fatto, perché a nostro avviso il problema non riguarda la convivenza fra italiani e stranieri, ma il modo di intendere l’integrazione, la reciprocità e la laicità di alcuni nostri concittadini che occupano posti di rilievo nella società.

In un comunicato del preside, apparso sul sito della scuola, si può leggere: “La nostra comunità, quella scolastica, si avvale dell’apporto di culture, pensieri, idee, atteggiamenti, storie, tradizioni che provengono dalla complessità di un mondo aperto e dialogante”.

Ci si può legittimamente chiedere: come mai in questa comunità scolastica, specchio di un mondo aperto e dialogante, non ci sia spazio per la cultura, i pensieri, le idee, gli atteggiamenti, le storie e legate all’avvenimento cristiano al quale si richiamano non pochi alunni che la frequentano?

Inoltre, il presepe, realizzato per la prima volta dall’italianissimo Francesco di Assisi, è un’espressione tipica dell’arte e della creatività del nostro popolo: perché tutto ciò non può trovare posto accanto alle altre tradizioni e culture dei bambini di altri paesi?

Scrive ancora il preside: “Tutto ciò che attiene alla vita delle persone, alla loro cultura, al loro immaginario, si incontra nella scuola, ambiente che diventa crocevia di esperienze e narrazioni le più diverse e che gli insegnanti sapientemente mettono a confronto perché l’esperienza di uno diventi patrimonio dell’altro“. Ma come riesce a trovare attuazione tutto ciò, se a una parte di alunni viene impedito di presentare quello che è un tratto caratteristico della propria cultura?

Tutti i nodi vengono al pettine quando il preside afferma: “Cerchiamo di pensare per potenzialità, cosa impossibile se cominciamo ad assumere i limiti delle appartenenze religiose”. Nella sua visione dunque, le diverse appartenenza religiose non sono tasselli che vanno a costruire un puzzle variopinto e plurale, ma limiti che di fatto vanno ignorati e annullati. Ma allora tutto quel discorso sull’apertura e sul dialogo non si va a fare benedire?

Infine, secondo il preside “non possiamo assumere l’impegno di celebrare ricorrenze religiose, perché questo va oltre il nostro compito”. Ma allora dovremmo abolire anche le vacanze natalizie e su questo punto non diciamo nulla, magari sarebbe interessante chiedere cosa ne pensano gli alunni, cristiani e non! Battute a parte, pensiamo che oscurare i simboli e le espressioni culturali di un popolo non sia mai un segno di civiltà, perché la convivenza civile si costruisce attraverso la reciprocità.

Concludiamo dicendo che, contrariamente alle intenzioni inclusive del preside, la scelta di non allestire il presepe non favorisce l’integrazione, perché agli alunni stranieri è tolta la possibilità di conoscere gli usi e i costumi dei loro compagni italiani.

Fonte: Ancora online

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Nicola Rosetti

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