Che valore hanno i martiri in una società secolare?

SYDNEY, venerdì, 11 giugno 2004 (ZENIT.org).- La morale senza fede porta al nichilismo, la missione della Chiesa riempie il vuoto di Dio, ed i martiri esprimono l’amore di Cristo per l’umanità.

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Quello dei martiri cristiani è la testimonianza di una vita vissuta in libertà e verità. A differenza dei terroristi il martire cristiano non usa il proprio corpo come un arma ma come dono.

Questi i temi sviluppati da monsignor Julian Porteous, Vescovo ausiliare di Sydney nel corso della teleconferenza mondiale, organizzata dalla Congregazione per il Clero lo scorso 28 maggio.

“Quando prendiamo in considerazione i temi cristiani, ci scontriamo con la secolarizzazione del pensiero e della visione del mondo che permea la cultura contemporanea”, ha commentato il prelato.

Nel 1882, Friedrich Nietzsche ne “La gaia scienza” indica una morale priva di fede e afferma che “Dio è morto”.

“La morale senza il sostrato della fede è destinata a scivolare nel pragmatismo, nel relativismo e in un inevitabile nichilismo”, ha spiegato Porteous.

L’ausiliare di Sidney ha riportato le parole del Pontefice Giovanni Paolo II quando dice: “Questa separazione (di fede e morale) costituisce una delle più acute preoccupazioni pastorali della Chiesa nell’attuale processo di secolarismo, nel quale tanti, troppi uomini pensano e vivono come se Dio non esistesse”.

“E’ proprio in questa esperienza che il Papa situa la missione della Chiesa oggi, per la salvezza del mondo. Non c’è altra via che Cristo. La Chiesa ha la missione di riportare l’umanità a Cristo e in tal modo di farle scoprire il suo stesso splendore”, ha precisato Porteous.

Il prelato ha sottolineato che “è in questa situazione della società secolare oggi che si scopre il valore dei martiri. Essi sono testimoni della bellezza di una vita vissuta nella fede e nella bontà morale e quindi in libertà e verità”.

Parlando dei giovani Porteous ha affermato che “giungono segnali molto positivi dell’anelito dell’umanità a una vita di fede, bontà, libertà e verità”.

A questo proposito l’Ausuliare di Sydney ha citato i successi cinematografici della trilogia de “Il Signore degli Anelli” di Tolkien e dall’inatteso successo del film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.

Dopo aver detto che: “Sembra proprio giunto il momento opportuno per rivitalizzare l’antica tradizione della Chiesa di custodire e narrare gli Atti dei Martiri”, Porteous ha ribadito che: “Il valore dei martiri per la società secolare si basa sulla convinzione della necessità di Gesù Cristo per la salvezza”.

“Tuttavia negli ultimi dieci anni, – ha suggerito il prelato – la parola ‘martire’ ha assunto un significato distorto. Troppo spesso nei mezzi di comunicazione sociale è associato all’uso del corpo umano come arma”.

“Si attacca dell’esplosivo al corpo o si dirige un veicolo imbottito di esplosivo verso un bersaglio. La persona compie queste azioni con un atto di libertà e spesso in nome di Dio, ma questa libertà è stata separata dalla verità”, ha chiarito.

“La verità fondamentale – ha sottolineato Porteous – è che Dio è il Creatore e quindi è essenzialmente a favore della vita. Le dieci parole di vita, il Decalogo, rimangono leggi perenni e inviolabili dell’ordine morale”.

La libertà del terrorista, ha rivelato il prelato, “rende schiava la persona umana e la costringe in un atteggiamento fondamentale di odio che contribuisce solo all’edificazione della cultura della morte”.

Il martire cristiano ha infine affermato l’ausiliare di Sydeney “Invece di utilizzare il proprio corpo come un’arma, ne ha fatto dono. Ha permesso al suo corpo di divenire il bersaglio di tutta la violenza, l’odio e il peccato”.

“Ha permesso al suo corpo di divenire sacramento di riconciliazione per tutta l’umanità. Ha offerto il suo corpo all’umanità per amore e perdono del nemico”, ha così concluso.

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ZENIT Staff

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