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Ccee. La diversità non è un pericolo ma un tesoro per tutta la Chiesa

Al via a Fatima, l’incontro dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa

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È con un accorato appello alla comunità internazionale per la fine del conflitto in Ucraina e il ricordo dei cristiani perseguitati in particolare in Medio Oriente che il Patriarca di Lisbona, il Cardinale Manuel Clemente, ha aperto questo pomeriggio nella capitale portoghese l’incontro dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa.
Nel salone della Chiesa parrocchiale di Rua dos Jerónimos, di fronte alla folta delegazione di vescovi giunti dall’Ucraina, guidata da Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, il Patriarca Clemente ha ricordato il conflitto dimenticato nella regione del Doneck invitando la comunità internazionale a prendere “sul serio questo conflitto” affinché “gli interessi privati non prendano il sopravvento sul bene delle persone e sulla pace”.  Rivolgendosi poi a tutti gli altri vescovi, convenuti nella capitale lusitana – oltre cinquanta vescovi da 14 chiese cattoliche orientali, e rappresentanti delle Conferenze episcopali di Germania, Italia e Francia – il Patriarca di Lisbona ha voluto ricordare le Chiese perseguitate “Oggi, se le vostre chiese possono godere i frutti della libertà ritrovata, abbiamo anche il dovere di ricordare le Chiese che ancora oggi sono perseguitate, specialmente nel Medio Oriente.  Mi sia quindi permesso di testimoniare la vicinanza di tutto l’episcopato portoghese alle Chiesa nel Medio Oriente: non vi dimentichiamo. Il vostro martirio incombe su noi! Possa il Consolatore farvi sentire la Sua presenza”.
Soffermandosi poi sul tema dell’incontro La cura pastorale dei migranti cattolici orientali nei Paesi occidentali, il Patriarca lusitano ha ricordato come il fenomeno migratorio di migliaia di fedeli cristiani che ha accompagnato il crollo della cortina di ferro, ha contribuito non solo a una migliore conoscenza della ‘cattolicità’ della Chiesa ma anche a rinnovarla “se anni fa eravate sconosciuti dalla maggioranza dei portoghesi, oggi, i vostri Paesi e le vostre Chiese sono diventati per noi nomi, persone concrete, colleghi di lavori, vicini di casa. Questo è l’altro volto delle migrazioni. … ormai non vi conosciamo soltanto per sentito dire, ma perché vi abbiamo visto e conosciuti, perché abbiamo mangiato, gioito e pianto insieme a voi. Questa esperienza di condivisione di vita ci permette di dire con gioia che la vostra gente e le vostre Chiese sono un dono per tutti noi”.
Dal canto suo, il cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, l’organismo vaticano preposto alla cura di queste chiese, ha voluto ricordare il motivo e il significato che assume l’incontro a due passi del famoso Mosteiro dos Jerónimos, in cui nel 2007 con il Trattato di Lisbona “l’Europa di oggi è stata fondata”. “Siamo qui come Chiese Orientali Cattoliche in Europa perché anche noi abbiamo a cuore il futuro e l’identità di questo continente, e vogliamo camminare insieme ai Vescovi della Chiesa Latina per manifestare la comunione e la bellezza dell’essere tutti parte della Chiesa Universale, che accoglie in sé una varietà di espressioni e tradizioni”. Di fronte al fenomeno migratorio che ha toccata profondamente anche le chiese orientali cattoliche, il cardinal Sandri ha sottolineato come “anche l’Europeo, italiano, spagnolo, francese, tedesco, portoghese, polacco, ungherese.. è stato migrante. Di questo dobbiamo avere memoria, anche dal punto di vista ecclesiale”. Il cardinal prefetto riconosce che “a volte si è impreparati”, e non si conosce bene il retroterra dei migranti “per questo si applicano forme di riduzionismo minimalista” quale per esempio la messa in lingua araba ma secondo il rito latino e senza tenere conto delle differenti provenienze ecclesiali nelle quali “l’arabo è la lingua della vita quotidiana per lo più, ma non lo strumento di riconoscimento e di appartenenza ecclesiale”.
La sessione di aperture si è poi conclusa con i saluti di Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios III Laham di Antiochia dei Greco Melchiti e di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halych. Il primo ha ricordato come i cristiani in Siria stanno vivendo una lunga via crucis che ha portato a uno “tsunami di emigrati” con la conseguente drastica diminuzione dei cristiani nel Paese. Ma accanto alle tante sofferenze che i siriani stanno vivendo, il Patriarca greco-melchita ha mostrato come questo tempo di prova sia anche connotato da una grande diaconia (servizio caritatevole) tra gli stessi cristiani, da un migliore e più intenso rapporto tra popolo e gerarchia ecclesiale, e da un ecumenismo di vita che supera le divisioni ecclesiali. Dal canto suo, l’Arcivescovo ucraino Sviatoslav Shevchuk, ha detto di vedere in questo “incontro-pellegrinaggio” un’occasione per riflettere su “come essere padri e pastori per i nostri immigrati che vivono in altri paesi d’Europa”. Il capo della Chiesa greco-cattolica d’Ucraina ha anche sottolineato la valenza positiva di questa peculiare migrazione. I fedeli delle chiese cattoliche orientali nei Paesi occidentali non sono solo oggetti di cura pastorale, ma veri e propri “agenti della nuova evangelizzazione”. Ringraziando il Patriarca di Lisbona per l’appello lanciato per la fine del conflitto in Ucraina, l’arcivescovo Schevchuk gli ha consegnato una copia dell’icona della Madonna di Fatima, concepita e dipinta proprio nella regione del Doneck.
Nella serata, i partecipanti si sono poi trasferiti a Fatima, dove si svolgerà la restante parte dell’incontro. Questa mattina, all’inizio dei lavori, è stato dato lettura del messaggio che il Cardinale Antonio Maria Vegliò, per anni Presidente del dicastero vaticano preposto alla cura dei migranti, ha fatto pervenire ai partecipanti attraverso il quale ha sottolineato come “i cattolici appartenenti alle diverse Chiese Cattoliche Orientali, pur essendo minoranza, rappresentano un segno importante, anzi imprescindibile, della cattolicità della Chiesa. Accanto ai fedeli latini, essi sono in nuce l’altro polmone della cristianità”. Per il cardinale italiano che per anni ha incontrato rifugiati e migranti, “la diversità non è un pericolo, ma un irrinunciabile tesoro per la Chiesa Universale”. Bisogna quindi “trovare il coraggio” di vivere “l’armonia nella molteplicità o diversità”, soprattutto nei Paesi storicamente caratterizzata dalla presenza di un unico rito. Infine, il cardinale italiano ha ricordato come le Chiese Cattoliche Orientali, sebbene siano in parte tra loro differenti per liturgia, per disciplina ecclesiastica e patrimonio spirituale, tuttavia sono allo stesso modo affidate al governo pastorale del Romano Pontefice”. Spetta insomma al Papa “che ha il divino mandato di dirigere il coro” di fare in modo che “non ci siano stonature e venga così garantita la sinfonia della verità e della carità”.

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ZENIT Staff

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