Giulio Andreotti and Aldo Moro

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Cattolici in politica: una questione aperta

Presentato a Roma il libro di Paolo Pombeni e Michele Marchi, edito da Città Nuova

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Su una copertina dallo sfondo bianco, colore tipico del cattolicesimo in politica e non solo, un’immagine, passata tristemente alla storia, rappresentata a tinta rosso scura, quasi sanguigna: il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro a Via Caetani.

Si presenta così esteticamente il volume La politica dei cattolici dal Risorgimento a oggi, edizioni Città Nuova, frutto del dialogo fra Paolo Pombeni, già professore di storia dei sistemi politici europei presso l’Università di Bologna ed editorialista del Sole 24 Ore, e Michele Marchi, dottore di ricerca in storia dell’Europa contemporanea e docente di storia internazionale presso l’Università di Bologna.

Il libro, partendo dall’alba del Risorgimento e arrivando all’attualità, descrive il ruolo avuto nella storia italiana dai cattolici e dai partiti e movimenti d’ispirazione cattolica. È stato presentato venerdì scorso a Roma, presso la libreria Arion di Montecitorio, in un dibattito in cui, oltre ai due autori, sono intervenuti Giovanni Orsina, professore di storia contemporanea all’Università Luiss di Roma, e il giornalista Paolo Pagliaro in qualità di moderatore.

Il primo tema affrontato nella discussione è quanto spazio i cattolici possano ancora avere nella politica italiana e se, come chiesto da Pagliaro agli altri relatori, la parabola dei partiti cattolici “sia ormai archeologia politica”.

“Il volume – risponde Marchi – non vuole essere solo una ricostruzione degli anni del partito unico dei cattolici, ma parte da una visione molto più ampia in cui è inserita la Democrazia cristiana. Cerchiamo di fare una riflessione con riferimenti anche al contesto europeo. Come, per esempio, quello francese dove la crisi dei partiti cattolici arriva molto prima che in Italia. Ci occupiamo anche del ruolo della Chiesa. Pensiamo al discorso di Natale 1942 di papa Pio XII, una vera e propria dichiarazione di impegno, da parte del Vaticano, per la costruzione di un partito unico dei cattolici Ecco quindi che figure come il futuro papa Montini diventano fondamentali per la nascita della Democrazia cristiana. Con gli anni Settanta la storia cambia. Nel 1978 Paolo VI muore e l’Italia vive il dramma dell’omicidio Moro. Da lì in poi il contesto cambia del tutto. C’è ancora spazio per un certo tipo di protagonismo dei cattolici in politica, ma la loro rilevanza piano piano si affievolisce inevitabilmente e forse sta cominciando davvero ad essere archeologia”.

Anche Pombeni ritiene che il sequestro Moro rappresenti una cesura netta: “La fine del cattolicesimo politico arriva con la morte di Moro, il personaggio che, con Amintore Fanfani, creò il centrosinistra, portando avanti l’idea che il governo del paese avrebbe dovuto modernizzarsi così come si stava modernizzando l’Italia all’inizio degli anni Sessanta. E questo genera uno scontro durissimo con la Chiesa che li accusa di distruggere la societas cristiana. È il momento in cui la Dc, in un certo senso, si laicizza, e afferma il principio della separazione fra politica e fede”.

Di opinione diversa Orsina: “Non credo che modernizzare la politica volesse dire allearsi con il Partito socialista che di moderno aveva ben poco. Credo anche che la Democrazia cristiana non si stacchi più di tanto dalla Chiesa e continui a prendere voti perché vista ancora come il partito del Vaticano. Si può parlare di laicizzazione parziale, una danza comune in cui se prima degli anni Sessanta il ruolo guida era della Chiesa, dopo diventa del partito.

Il centrosinistra – continua lo storico – fallisce perché in quella alleanza manca un vero accordo: nella Dc di Moro e Fanfani le correnti di destra sono ancora molto forti e il Psi, almeno fino alla scissione del Psiup (1964), è ancora un partito fortemente marxista”. “Il centrosinistra – aggiunge Marchi – trasforma la Dc da partito clericale a forza più laica. Ritengo che quella fase politica non raggiunga gli obbiettivi posti perché arriva troppo tardi, in un momento in cui il miracolo economico sta rallentando”.

Altro importante tema toccato dal dibattito è il paragone fra la lotta attuale, intorno al pontificato di Francesco, tra progressisti e conservatori, e quella che caratterizzò gli anni del Concilio Ecumenico Vaticano II. “La situazione ha molti punti in comune – evidenzia Pombeni – ma sono due epoche diverse. Negli anni Sessanta il papato e la Chiesa erano ancora molto più italianocentrici. Oggi il papa è argentino e il dibattito coinvolge davvero tutto il mondo. Come diceva Giuseppe Dossetti, storico esponente della sinistra democristiana: ‘Ogni epoca di trasformazione dell’umanità corrisponde a un’epoca di trasformazione della Chiesa’. È stato così con il Concilio di Trento con il Concilio Vaticano II e sarà così anche oggi”.

Pagliaro ha infine portato il dibattito sulla questione del sostegno fornito al governo Berlusconi, nei primi anni Duemila, dalla Conferenza episcopale italiana allora guidata dal cardinale Camillo Ruini. “Berlusconi – ha risposto Orsina – è stato a lungo considerato un possibile portatore di istanze del cattolicesimo politico. Ma il suo progetto è sempre stato chiaramente secolarizzato, al di là di come lo si voglia giudicare. Berlusconi sapeva che creare un partito o una coalizione di centrodestra in Italia senza l’appoggio della Chiesa sarebbe stato molto difficile. Si è trattato quindi di una convergenza di obbiettivi tra forze di natura diversa e inconciliabili per molti motivi. Era il clima culturale del post 11 settembre e del referendum sulla procreazione assistita. La stessa elezione di Marcello Pera a presidente del Senato era il manifesto di questa sorta di alleanza”.

 

 

 

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Alessandro de Vecchi

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