Cattolici divorziati risposati, ruolo dei tribunali e loro implicazioni pastorali

Monsignor Llobell invita a scoprire “la funzione pastorale dei tribunali ecclesiastici”

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ROMA, giovedì, 19 gennaio 2006 (ZENIT.org).- La questione dei cattolici divorziati risposati e le sue implicazioni pastorali sono state al centro della Giornata di Studio sull’Istruzione “Dignitas Connubii” organizzata questo giovedì dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce di Roma.

“Quale ruolo assumono oggi i tribunali canonici nella soluzione del problema dei cattolici divorziati risposati?” è la domanda a cui ha cercato di rispondere, nella sua relazione introduttiva su “La ricezione dell’istruzione ‘Dignitas Connubii’”, monsignor Joaquín Llobell, ordinario di Diritto Canonico presso la Santa Croce.

Innanzitutto, “è necessario rispettare la natura delle cose, quella che possiamo chiamare l’‘ecologia processuale’ – ha affermato monsignor Llobell –. Il giudice è tenuto a comprovare, ad avere l’intimo convincimento di aver raggiunto la verità sul fatto che un matrimonio fu valido o nullo nel momento della celebrazione”.

La stessa finalità del processo giudiziale “è di comprovare e dichiarare la verità e non valutare se sarebbe pastoralmente conveniente che il matrimonio fosse dichiarato nullo per risolvere il problema della non ammissione alla comunione eucaristica dei divorziati rispostati”. In caso contrario, “verrebbe negato che l’indissolubilità è un elemento ‘naturale’, voluto da Dio e sancito da Cristo affinché la persona umana sia felice sulla terra e ottenga la salvezza eterna”.

Data la complessità della materia, ha aggiunto monsignor Llobell, “non può sorprendere che i Vescovi, che non sempre conoscono bene la finalità e il metodo dei processi giudiziari di nullità del matrimonio, possano considerare erroneamente, benché spinti dal loro buon zelo per le anime, che la missione pastorale dei loro tribunali sia quella di eliminare l’ostacolo che impedisce ai divorziati risposati civilmente di accedere alla comunione eucaristica, vale a dire dichiarare sempre nullo il matrimonio fallito in modo che possano sposarsi una seconda volta davanti alla Chiesa”.

Questa considerazione erronea è emersa anche nel corso dell’ultimo Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005.

Proprio per risolvere queste problematiche, l’Istruzione “Dignitas Connubii” ha reso più chiare le precisazioni del Codice di Diritto Canonico, secondo cui “il giudice può dichiarare la nullità del matrimonio sulla sola base delle dichiarazioni della parti, nel caso del tutto singolare in cui non sia possibile procurarsi altre prove (testimoni, documenti, perizie), ovviamente accertando la credibilità delle stesse parti”, ha osservato il professor Miguel Ángel Ortiz, docente di Diritto Matrimoniale presso la Facoltà di Diritto Canonico della Santa Croce nella sua relazione “Le dichiarazioni delle parti e la certezza morale”. La medesima decisione del giudice, detta anche “certezza morale”, “deve escludere ogni ragionevole dubbio”.

Tra gli altri intervenuti alla Giornata, monsignor Antoni Stankiewicz, decano del Tribunale della Rota Romana, il quale ha parlato delle “Indicazioni circa il can. 1095”; il professor Paolo Moneta, facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Pisa, che ha trattato “La determinazione della formula del dubbio e la conformità della sentenza”; monsignor Grzegorz Erlebach, uditore del Tribunale della Rota Romana, intervenuto su “L’impugnazione della sentenza e l’invio ex officio della prima sentenza pro nullitate matrimonii”.

La Giornata si è conclusa con una tavola rotonda con i relatori, moderata dalla professoressa Angela Maria Punzi Nicolò, ordinario di Diritto Canonico presso l’Università degli Studi “Roma 3”.

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ZENIT Staff

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