Giovanni XXIII e Francesco: analogie tra uomini e Papi

Roncalli e Bergoglio accomunati dal dialogo tra gli uomini e tra le culture

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Stanno uscendo in questi giorni, nel cinquantennale della morte di Giovanni XXIII, le memorie di quei giorni.Il Pontefice non era più in grado di dire la Messa, che però veniva celebrata nella sua stanza da altri Sacerdoti.

Papa Roncalli era ancora perfettamente cosciente quando fu letto il brano dagli Atti degli Apostoli in cui, elencando le conversioni alla nuova religione, vengono elencati i popoli dell’Oriente: questo suscitò in lui una particolare commozione, ricordando gli anni trascorsi ad Istanbul, o a Costantinopoli, come egli preferiva chiamarla, dove ancora sopravviveva, negli anni trenta, qualche memoria della metropoli culturale dei tempi dell’Impero.

La comunità greca, di fede ortodossa, non era stata ancora tutta espulsa, come era avvenuto – con atrocità inenarrabili – dalla costa dell’Asia Minore dopo la prima guerra mondiale: intorno al Fanar, sede del Patriarcato Ecumenico, vivevano alcune migliaia di suoi fedeli, che avrebbero poi dovuto lasciare anche essi la Turchia durante le crisi di Cipro.

Il Pro Nunzio Roncalli aveva già conosciuto l’Ortodossia a Sofia, sua prima sede diplomatica, e subito – pur provenendo da una realtà in cui il cattolicesimo permeava profondamente la società, la Bergamasca del suo maestro Monsignor Radini Tedeschi, campione del cattolicesimo sociale, dei sindacati bianchi e delle cooperative promosse da Guido Miglioli, percepì subito come uno scandalo la divisione tra i seguaci di Gesù Cristo.

Si dice che per incontrare il Patriarca della Bulgaria, essendo reso impossibile un colloquio dal protocollo, prese di proposito l’ascensore con lui, simulando la casualità dell’incontro.

Un’altra volta fece dono di una medaglia del pontificato ad un vescovo ortodosso, che la volle con sé nella tomba.

Ad Istanbul non c’erano però soltanto i Cristiani, ma anche i Musulmani e gli Ebrei: la città era allora uno degli snodi dell’emigrazione sionista verso la terra d’Israele, che si fece drammatica quando cominciò ad incombere la minaccia dell’Olocausto: è rimasto famoso l’episodio- su cui è stato realizzato un film con Raymond Burr nel ruolo dello stesso Roncalli – della nave carica di bambini ebrei, che il Pro Nunzio riuscì a far proseguire scrivendo di suo pugno i documenti falsi con cui i piccoli profughi venivano qualificati come cristiani.

Che cosa è cambiato da allora?

La seconda guerra mondiale, ed i conflitti successivi, ha messo fine quasi dovunque alla convivenza interetnica in tante città, ma soprattutto alla convivenza in esse tra le diverse culture.

Ancora oggi le metropoli come Vienna, Praga, Trieste, Sarajevo, Gerusalemme, appunto Costantinopoli e da ultimo Aleppo, vengono rimpiante per come erano un tempo, ricordato come un’epoca felice di concordia e di pace, ma soprattutto di dialogo, di confronto civile e reciprocamente benefico tra persone e comunità di fede e di estrazione diversa.

Oggi su quelle città sono state innalzate le bandiere nazionali, o meglio nazionaliste, e questo esito storico, che da un lato ha segnato la piena affermazione del principio di autodeterminazione, dall’altro lato ha coinciso spesso con la tragedia della “pulizia etnica”, a volte inflitta reciprocamente tra i diversi popoli, ma non per questo meno dolorosa e catastrofica.

Bergoglio viene da Buenos Aires, città di lingua spagnola, ma dove esiste anche il quartiere della Boca, quello dei Genovesi, dove un tempo in chiesa l’omelia veniva pronunziata nel vernacolare ligure: sovente gli emigrati non conoscevano l’italiano, ma soltanto il dialetto dei luoghi di origine e la lingua di quelli di adozione.

Lo stesso Vescovo di Roma è cresciuto in una famiglia in cui si  praticava il bilinguismo ed ha frequentato l’ambiente cosmopolita di quella che Carlos Gardel – un altro figlio di immigrati – cantava come “mi Buenos Aires querido”, la “ciudad portena de mi unico querer”.

Padre Bergoglio non ha dunque mai vissuto la sua duplice origine come conflittuale. La Roma che egli deve governare spiritualmente è una città multietnica: sulla piazza di San Giovanni, mentre seguivamo la presa di possesso della sua Cattedrale, ci siamo trovati a commentare l’omelia del nuovo Vescovo con un sacerdote africano: conversando, abbiamo scoperto che non si trovava a Roma in pellegrinaggio, ma faceva parte del clero diocesano.

Se esiste un tratto comune tra Roncalli e Bergoglio è la ricerca della pace nel mondo, ma questa causa si deve affermare praticando in primo luogo una convivenza tra vicini – tra prossimi, nel significato evangelico della parola – che è spesso difficile.

Gli Imperi del passato – e quello turco aveva proprio il suo centro ad Istanbul – si consideravano famiglie di popoli. Le aspirazioni nazionaliste dell’Ottocento mutarono la loro percezione, facendoli sentire piuttosto come prigioni dei popoli. Ciascuno finì per prendere la sua strada, e Roncalli combatté come sergente, nelle fila dell’Esercito Italiano, la guerra che avrebbe completato l’indipendenza e l’unità nazionale.

Dopo quel conflitto, e tutti quelli che lo hanno seguito, rimase nei popoli non soltanto l’aspirazione alla pace, ma anche la ricerca di un sistema di relazioni internazionali che la rendesse stabile e duratura. Un simile sistema può tuttavia basarsi soltanto – al di là delle forme giuridiche – sulle affinità spirituali, in primo luogo sulla fede comune in Dio.

L’incontro progettato dal Vescovo di Roma tra le religioni monoteiste, tra i discendenti spirituali di Abramo, rafforzerà l’aspirazione nella giustizia e nella pace che fu suscitata dall’azione ecumenica di Giovanni XXIII, suo grande predecessore, aprendo un cammino di speranza per tutti i popoli del mondo.

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Alfonso Maria Bruno

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