Catania: dalla "movida" del sabato sera alla preghiera per la pace

A conclusione della giornata di digiuno, una veglia si svolgerà domani alle ore 21.00 in piazza Duomo

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“Si alzi forte in tutta la terra il grido della pace”. Inizia così l’appello che l’appello che l’arcivescovo di Catania, mons. Salvatore Gristina, ha inviato alla comunità diocesana, invitando i fedeli a partecipare sabato 7 settembre alla veglia di preghiera per la pace, che si svolgerà alle ore 21 in piazza Duomo, a conclusione della giornata di digiuno.

Anche a Catania si alzerà il gruppo della pace per accogliere l’appello di Papa Francesco ed invocare la pace nel mondo, che oggi assume una dimensione mondiale, dati gli annunciati interventi delle grandi potenze mediante l’uso delle armi nucleari.

La “movida catanese” del sabato sera si trasforma in un incontro di pace che interessa tutti, ma “nei giovani questo interessa deve essere più motivato: la società in cui domani saranno protagonisti deve essere una società che vive ed opera nella pace”.

La città di Catania che ha vissuto nel mese di agosto il dramma degli immigrati morti sulle spiagge della Plaja e che ha accolto con spirito di servizio e di carità numerosi ragazzi profughi, lontani dalle loro famiglie in cerca di un futuro migliore desiderosi di benessere e di libertà, ha manifestato solidarietà ed accoglienza proprio nel segno di S. Agata, ed ora in unione con la Chiesa universale, prega perché tutti gli uomini si impegnino a far tacere le armi della guerra e costruiscano con il dialogo e con parole di pace l’armonia tra i popoli e le nazioni.

Nel corso della veglia che avrà, come ha chiesto il Papa, una dimensione interculturale e interreligiosa, saranno scandite le parole del Santo Padre: “Vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace”. “Vogliamo che in questa nostra società dilaniata da divisioni e da conflitti scoppi la pace”. “Mai più la guerra”, la «guerra chiama guerra» e la «violenza chiama violenza».

Queste parole sembrano l’eco dell’appello di pace che Papa Pio XII lanciò al mondo nel radio-messaggio del 24 agosto 1938 alla vigilia della seconda guerra mondiale e che Paolo VI ha ripreso nei diversi discorsi anche alle Nazioni Unite: “Jamais plus la guerre” così pure Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

L’unica via della pace è il dialogo, ha affermato Papa Francesco: “Tutti depongano le armi e si lascino guidare dalla voce della propria coscienza per non chiudersi nei propri interessi, ma intraprendere con coraggio la via del confronto e del negoziato”.

La guerra porta solo distruzione e morte, “Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra”. Questa frase simbolo del pontificato di Papa Pacelli ritorna oggi attuale e impellente nel mese di settembre, a 74 anni di distanza. Il 1º settembre 1939, infatti, la Germania invase la Polonia e  due giorni dopo Francia e Regno Unito risposero all’attacco, dando inizio alla II Guerra Mondiale.

Pace, dialogo, armonia tra i popoli, ricerca di sviluppo e di crescita sono le parole belle e buone che danno speranza e forza, ma, perché tutto ciò si possa realizzare, occorrono attivi  operatori di pace, occorre una nuova e vera cultura della pace che guarda il positivo e tende al progresso, che considera gli altri come fratelli e non nemici o avversari, che ricerca, nella convergenza degli ideali, il bene comune per l’intera società.

Anche ai giovani di Catania, come a quelli di Piacenza, giungerà il messaggio di Papa Francesco: «Costruite un mondo di bellezza, di bontà e di verità». 

L’educazione alla pace non si apprende sui libri, ma si costruisce nel cuore che si apre agli altri e palpita di amore e di sentimenti di accoglienza e di servizio per il bene dell’umanità.

Alla cultura dello scontro e del confitto si contrapponga la cultura dell’incontro e del dialogo, strategie e strumenti per costruire la pace.

Come la fede, anche la pace, senza le opere è morta. Diventare «portatori di speranza» e andare verso un futuro di pace non può restare solo un’illusione», ma è anche una «responsabilità» e tutti ne siamo coinvolti. «Andare avanti e controcorrente», significa essere coraggiosi e forti.

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Giuseppe Adernò

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