© Servizio fotografico - L'Osservatore Romano

Castel Gandolfo diventa museo: viaggio nelle stanze segrete dei Papi

Domani l’apertura al pubblico di luoghi riservati, scrigni di storia e arte. Paolucci: “Chi varca quel portone incontra la pura bellezza”. Barbagallo: “L’assenza di Bergoglio, una scelta già fatta da altri Papi in passato”

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Sulla scrivania dello Studiolo del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo è poggiata ancora la matita e la gomma con cui Ratzinger scriveva le sue lettere, le sue encicliche e omelie. Sono passati poco meno di quattro anni da quando il Vescovo di Roma si trasferiva usualmente a ‘Castello’ per sfuggire dal caldo torrido di Roma, ma sembra già che si parli di un’altra epoca.

Di fatto, inizia una nuova epoca con la decisione del successore Francesco di aprire al pubblico quei luoghi per secoli ad uso esclusivo del Pontefice e trasformarli in un museo. Spazi strettamente riservati come lo Studiolo, appunto, e il Salone degli Svizzeri dove montava il corpo di guardia 24 ore su 24, la Sala del Trono e quella del Concistoro usata per le riunioni del Collegio cardinalizio. Poi il Salottino verde, la stanza dell’orologio, la sala dei Palafrenieri, fino ad arrivare a spazi più intimi come la Biblioteca, gli uffici del Segretario particolare e del Segretario aggiunto, dove trovava posto anche il Cameriere particolare di Sua Santità, e la celebre Stanza da letto.

Quella dove le cronache raccontano che vi nacquero una cinquantina di bambini, figli di donne in fuga dalle bombe che piovevano su questa porzione di Lazio durante lo sbarco degli alleati ad Anzio, negli anni della Seconda Guerra mondiale. Il Papa di allora, Pio XII, aprì le porte a circa 12mila persone offrendo un rifugio e del cibo e salvando così la vita a centinaia di ebrei che cercavano di sopravvivere alla furia nazista. Per gratitudine molti bambini furono battezzati col nome di Eugenio, come quello del Papa; addirittura due gemellini, figli di una famiglia comunista, furono chiamati Eugenio e Pio.

Tra queste mura, molto meno lussuose di quanto si pensi – che oggi i giornalisti accreditati presso la Sala Stampa vaticana hanno potuto visitare in anteprima – la grande storia si incrocia con le piccole storie personali. Quelle della gente del borgo, come dei Papi che hanno utilizzato questa residenza ognuno secondo le proprie sensibilità e abitudini.

Pio XI lo trasformò in un buen retiro fuori dall’urbe, destinando, nel 1929, i 55 ettari che costituiscono ora il complesso delle Ville Pontificie all’attività agricola, costruendo una piccola fattoria con campi, pollai e mucche da latte, che tuttora producono e forniscono latticini e salumi per la Città del Vaticano. Per Giovanni XXIII era, invece, un’oasi di pace per evadere dalla vita di Curia. Il “Papa buono” ogni tanto spariva, senza preavviso e senza scorta, andandosene in giro per i Castelli tra la gente, arrivando fino ad Anzio o a Nettuno, mentre i suoi collaboratori lo credevano ancora a riposo nell’appartamento. Giovanni Paolo II la viveva come una seconda casa, giocando con i bambini figli dei dipendenti e uscendo, alla stregua di Pacelli, per passeggiare nelle campagne circostanti o nei boschi di faggi e querce. Fu lì che Wojtyla decise di trascorrere la convalescenza dopo l’attentato in Piazza San Pietro.

Poi Benedetto XVI che scrisse le più importanti pagine del suo magistero da quella scrivania affacciata sull’occhio azzurro del lago di Albano: un panorama che il Papa emerito amava profondamente intravedendovi in esso l’opera di Dio, come confidava. Se Giovanni Paolo II aveva voluto posizionare il suo letto tra le due finestre, in modo che la testa fosse rivolta in direzione del Tabernacolo custodito nell’adiacente cappella con la Madonna di Jasna Gora (dono dei vescovi polacchi a Pio XI), Ratzinger chiese invece di spostarlo alla parete opposta in modo da svegliarsi e ammirare subito quell’acqua limpida.

Ma a Castel Gandolfo non è solo il miracolo della natura a colpire: “C’è anche la bellezza monumentale dell’arte e dell’architettura”, come ha fatto notare il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, presentando l’iniziativa. Arazzi, quadri, tappeti, a fianco a mobili barocchi in legno intarsiato, sculture in bronzo e crocifissi d’argento, vicino le pastorali affrescate da Pierleone Ghezzi, i pavimenti in marmo policromo, i soffitti cassettonati e le pareti rivestite di tappezzeria damascata.

Frammenti preziosi finora visibili solo sullo sfondo delle fotografie de L’Osservatore Romano, ma che, da domani, il grande pubblico – numeroso, secondo le previsioni – potrà fotografare direttamente con il suo telefonino o il suo tablet, portandosi a casa il ricordo o il pezzo di vita che ognuno di essi racchiude.  Come ad esempio l’immagine di quel divanetto su cui sedettero Papa Francesco, appena eletto, e il suo predecessore Benedetto XVI nel primo loro storico incontro a Castel Gandolfo, durante il quale il Papa emerito consegnò al successore lo scatolone con il dossier top secret di Vatileaks. O la cappella dove i due pregarono insieme, in ginocchio sulle panche bianche. O ancora il succitato letto dove morirono Pio XII e Paolo VI.

“Da oggi questa isola sigillata per pochi diventa, con un biglietto da 10 euro, un luogo di condivisione”, ha commentato Paolucci, “chi varcherà il portone del Palazzo Apostolico incontrerà la pura bellezza. Attraversando le stanze dell’Appartamento apostolico ascolterà il brusio della storia e penso all’emozione e allo stupore, ma anche alla gratitudine che ciascuno dei visitatori proverà per questo imprevisto regalo del Papa”.

Un regalo, infatti, da parte di un Papa che non ha voluto snobbare tanta beltà ma solo metterla a disposizione di fedeli e turisti, piuttosto che lasciarla chiusa a chiave, come ha sottolineato il curatore del Reparto Collezioni Storiche dei Musei Vaticani, Sandro Barbagallo, spiegando che la scelta di Bergoglio di non recarsi a Castel Gandolfo è perfettamente in linea con quella dei suoi predecessori.

“Non stiamo colmando un vuoto. La non presenza del Papa rientra nella storia di questo palazzo che ha avuto legami con 33 Pontefici sin dal 1604, quando Clemente VIII lo tolse alla famiglia Savelli e lo inserì nei beni della Santa Sede, dichiarandolo Villa Pontificia. Ma su questi 33 sono stati solo 15 i Papi ad essere venuti. Da Alessandro VII in poi, ad esempio, ci fu un ‘buio’ totale di 44 anni, e Clemente XI decise di trasferirsi dopo 9 anni di pontificato di venire qui su consiglio del medico. La tradizione nacque poi con i Papi del ‘900. Quella di Francesco non è dunque uno scandalo, ma una scelta personale”.

E proprio per questo la trasformazione dell’Appartamento pontificio in museo potrebbe un domani essere rivista dal Papa regnante che invece vorrà tornare in estate a soggiornarvi.

Per celebrare l’inaugurazione, ai giornalisti è stato offerto un concerto di musica popolare cinese intitolato La bellezza ci unisce, realizzato dal comparto musicale della Guangzhou Opera House, esibitosi anche nell’opera Anima Mundi, scritta dal maestro Cui Zimo dopo l’incontro con il Papa a Santa Marta. Anch’esso una iniziativa straordinaria, come ha detto il card. Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato vaticano, “che è frutto dei recenti incontri tra i Musei Vaticani e alcune istituzioni culturali cinesi. Mi auguro che sia solo il primo frutto e che l’arte diventi ambasciatrice per la creazione di un ponte culturale tra Roma e Pechino”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione