“Caritas in veritate” nell’attuale dibattito filosofico-sociale

Intervista al filosofo Rodrigo Guerra López

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di Jaime Septién

QUERÉTARO, mercoledì, 22 luglio 2009 (ZENIT.org).- L’enciclica sociale di Benedetto XVI “Caritas in veritate” supera gli ambiti del sapere quali la politica, l’economia o le teorie sulla globalizzazione, per entrare pienamente nel dibattito filosofico-sociale contemporaneo, spiega un filosofo.

Per approfondire queste intuizioni contenute nel nuovo documento pontificio, ZENIT ha intervistato Rodrigo Guerra López, laureato in filosofia presso l’Accademia Internazionale del Principato del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia per la vita, e direttore del Centro de Investigación Social Avanzada (www.cisav.org).

Tra i suoi libri figurano “Volver a la persona” (Madrid 2002); “Católicos y políticos: una identidad en tensión” (Bogotá 2005) e “Como un gran movimiento” (México 2006). Recentemente è stato pubblicato il libro “Vida humana y aborto” (México 2009) di cui è coautore.

Come si colloca l’enciclica “Cartas in veritate” nel dibattito filosofico-sociale contemporaneo?

Rodrigo Guerra: La nuova enciclica del Papa non si propone di competere al pari delle analisi sociologiche sullo sviluppo nel contesto del mondo globalizzato. “Caritas in veritate” si inserisce invece nella discussione, sulla base della Dottrina sociale della Chiesa. Questo significa che la sapienza pratica nata dall’incontro con Cristo permette di formulare un giudizio sulle condizioni che rendono possibile lo sviluppo e sulle disfunzioni che l’attuale globalizzazione presenta.

Ampliando un poco i concetti, potremmo dire che Papa Benedetto XVI offre una “teoria critica della società”, ovvero una revisione di alcuni dei più importanti presupposti che sottendono l’attuale configurazione del mondo globale. A differenza delle altre “teorie critiche”, Benedetto XVI non colloca il nucleo della questione nella capacità dell’essere umano di auto-redimersi e di auto-emanciparsi.

Al contrario, la dimensione costitutiva del criterio di giudizio utilizzato dal Papa è dato da una precisa antropologia in cui ogni sostanza del “io” si riconosce come dono, come regalo, e pertanto come apertura relazionale verso il Fondamento, verso Dio che sostiene e che libera. In questo modo, Benedetto XVI insiste sul fatto che “l’uomo non si sviluppa con le sole proprie forze” (n. 11), ma ha bisogno di un orizzonte più ampio di quello a cui può accedere da solo. Un orizzonte in cui c’è Cristo, ovvero l’Avvenimento che ci precede.

Che rapporto c’è tra l’enciclica “Caritas in veritate” e il resto del Magistero di Benedetto XVI?

Rodrigo Guerra: “Caritas in veritate” poggia proprio sul riconoscimento del Cristianesimo come “Avvenimento” e per questo possiede un legame strutturale con “Deus caritas est”, con “Spe salvi” e in generale con la già millenaria tradizione ecclesiale che riconosce l’assoluta novità dell’irruzione e permanenza di Cristo nella storia. In questo modo, la nuova enciclica fa continuamente riferimento all’importanza del “dilatare l’orizzonte della ragione”, perché senza riduzionismi possiamo aprirci alla verità in generale e quindi anche alla Verità incarnata.

In questo senso, “Caritas in veritate” non è un documento secondario nell’insegnamento del Papa, ma è il completamento di un cammino avviato con il discorso di Ratisbona e che è proseguito nei suoi molteplici interventi sulla necessità di stabilire un nuovo rapporto tra fede e ragione. Questo cammino è lungi dall’essere di natura meramente teorica, ma è portatore proprio di una grande novità e pertinenza esistenziale e sociale, dovuto al fatto che si fonda sul carattere “performativo” che il Cristianesimo possiede: il Cristianesimo è un fatto che incide nella vita e che promuove realmente lo sviluppo nella dignità. Per questo il Papa coraggiosamente segnala al numero quattro dell’enciclica che “l’annuncio di Cristo è indispensabile per un vero sviluppo umano”.

L’enciclica “Caritas in veritate” scommette sul riorientamento della globalizzazione perché serva concretamente allo sviluppo delle persone e dei popoli: questo è effettivamente possibile?

Rodrigo Guerra: La storia recente ha dimostrato che non è possibile pensare di costruire l’ordine nazionale e internazionale sulla base di premesse puramente strumentali relative allo Stato e al mercato. La globalizzazione, così come è oggi definita, divora i propri creatori.

Per questo è razionale e ragionevole pensare che la via per correggere il cammino della globalizzazione consista nell’introduzione di una logica diversa da quella fondata sulle leggi della domanda e dell’offerta. Questa nuova razionalità ha come elemento essenziale la gratuità, la responsabilità sociale, l’equa redistribuzione della ricchezza, la capacità di creare nuove forme di impresa.

Oggi esistono esperienze importanti in materia di commercio equo, microfinanza, economica solidale e di comunione, che dimostrano che questo cammino non solo è possibile ma è necessario. La globalizzazione non modificherà il suo profilo se non attraverso persone concrete che siano capaci di rimodellarla. Per questo è necessario un nuovo pensiero economico e una nuova capacità di incidere a livello locale, nazionale e globale.

L’autonomia dell’economia non è rimessa in discussione alla luce del pensiero di Benedetto XVI?

Rodrigo Guerra: Giustamente, le economie che oggi stanno fallendo, hanno difficoltà ad ammettere al loro interno orientamenti di natura morale. Questo è un errore epistemologico importante: l’economia ha la libertà come dimensione costitutiva della propria natura. Per questo, un’economica autenticamente umana e autenticamente autonoma non può che essere essenzialmente etica. È assurdo che una teoria del valore nell’economia prescinda dall’esistenza di valori morali!

I diversi tipi di valore sussistono nell’esperienza e possono essere riconosciuti dalla ragione pratica, che è il tipo di ragione prevalente nell’attività economica. Per questo Benedetto XVI recupera una potente intuizione di Giovanni Paolo II: ogni decisione di investimento, di produzione o di consumo possiede una ineludibile dimensione morale. Subordinare o cancellare questa dimensione, da un lato attenta alla dignità della persona – che è la principale ricchezza di un’impresa e di una nazione – e dall’altro attenta contro la stessa economia in quanto tale.

Che importanza ha lo Stato e l’azione politica alla luce della nuova enciclica?

Rodrigo Guerra: Il Papa esplicitamente si dice preoccupato degli elementi che caratterizzano lo Stato come uno “Stato sociale”. In questo senso avverte che una riduzione irresponsabile delle competenze dello Stato può condurre a una violazione dei diritti dei lavoratori. Questo tipo di considerazioni ci mostrano che la comprensione cattolica della politica non si identifica univocamente con lo Stato liberale né con la mera presenza di certe élites cristiane nei luoghi di potere.

L’azione politica deve recuperare un senso sociale che mai avrebbe dovuto perdere. “Senso sociale” non significa solo “politiche sociali” più profonde e solidali, ma significa portare nel cuore una decisa opzione preferenziale per i poveri e gli emarginati. Per questo, una vera collaborazione nell’organizzazione e gestione del bene comune si misura più in termini di sviluppo che di successo elettorale, più in termini di servizio ai più deboli che di attivismo.

Quali sono le cause profonde del sottoviluppo, secondo Benedetto XVI?

Rodrigo Guerra: Il Papa, al numero 19 di “Caritas in veritate”, dice che le cause del sottosviluppo sono essenzialmente due: la mancanza di fraternità e la mancanza di pensiero. D’altra parte “la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fra
telli”. Finché non si comprende che la carità, il perdono e la riconciliazione sono metodi dell’azione politica ed economica, non si riuscirà a progredire come persone e come società. In questo senso, il Papa constata l’assenza di autentici pensatori capaci di generare un nuovo umanesimo sociale e politico. Senza un pensiero rigoroso, capace di concentrarsi sulle cose, l’azione politica ed economica rimane senza senso, senza direzione, come puro attivismo che non trascende gli interessi meschini della ricerca del potere per il potere.

Il Papa insiste sulla necessità di una nuova autorità mondiale. Non è un qualcosa di molto pericoloso? Non si rischia di cadere in un nuovo totalitarismo su scala planetaria?

Rodrigo Guerra: La Chiesa è pienamente consapevole dei rischi insiti in un nuovo ordine politico, economico e giuridico per il mondo globalizzato. Tuttavia, non è possibile assicurare governabilità alla globalizzazione se non si iniziano a costruire le basi per una nuova civilizzazione, per una nuova Res publica mondiale, che non deve essere un super-Stato totalitario, ma un nuovo modo di costruire relazioni internazionali, sulla base di una “grammatica dell’azione” – come diceva Wojtyla – ovvero sulla base di un nuovo “diritto delle genti” di natura giuspersonalistica.

Chi è chiamato a mettere in pratica l’insegnamento dell’enciclica “Caritas in veritate”?

Rodrigo Guerra: La “Caritas in veritate” è destinata a tutti i cattolici e a tutti gli uomini di buona volontà. D’altra parte, come ogni insegnamento corre un rischio: quello della riduzione del suo contenuto ad indicazioni meramente formali o astratte. È facile eludere la responsabilità personale e istituzionale, e pensare che l’insegnamento del Papa è “mera ispirazione” o che sia destinato “agli altri”, ma non a “noi”.

Per questo mi permetto di segnalare qualcosa che non finisce di stupirmi: i vescovi latinoamericani, nel documento di “Aparecida” hanno affrontato praticamente tutti i temi essenziali dell’enciclica, in un modo provvidenzialmente anticipatorio. Seguendo l’insegnamento del Papa, hanno inoltre riconosciuto con grande forza che il Cristianesimo è Avvenimento, scuola di discepolato e esperienza di comunione.

In altre parole, perché l’enciclica possa essere messa in atto, prima ancora di un “piano strategico” abbiamo bisogno di recuperare le fondamenta del metodo cristiano. Solo così potremo mostrare che la fede genera movimento, creatività e impegno solidale. Solo così torneremo a far vedere che il “soggetto” della Dottrina sociale della Chiesa esiste e, in quanto esiste, agisce.

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ZENIT Staff

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