Cardinale Lacunza: "Storica la beatificazione di Romero!"

A colloquio con il neo-cardinale panamense, che evidenzia l’importanza eccezionale per l’America latina del riconoscimento ufficiale del martirio dell’arcivescovo di San Salvador

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Tra i nuovi porporati voluti da Papa Francesco e provenienti in gran parte dalle ‘periferie’ del mondo c’era l’arcivescovo di David, (diocesi appartenente all’arcidiocesi di Panama e connotata dalla presenza di una consistente minoranza di indios, circa un quinto della popolazione cattolica di oltre 350mila anime.  Il neo-cardinale, nato a Pamplona (Navarra, Spagna) nel 1944, appartiene all’Ordine degli agostiniani recolletti.

Inviato in missione a Panama nel 1971, da lì più non s’è mosso: consacrato vescovo nel 1986, è stato per due volte presidente della Conferenza episcopale panamense. Si è distinto nel 2012 per essere stato mediatore tra il Governo e i ‘suoi’ indigeni, che temevano il saccheggio delle proprie terre da parte dell’industria mineraria. Con lui abbiamo parlato però soprattutto del significato per l’America latina della beatificazione (annunciata il 4 febbraio scorso dal Papa – dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero), ucciso “in odio alla fede” da estremisti di destra legati al governo salvadoregno il 24 marzo del 1980 mentre stava celebrando una messa nella cappella di un ospedale a San Salvador.

La causa di beatificazione è stata bloccata a lungo data la contrarietà di parte della gerarchia salvadoregna e curiale romana ad elevare agli altari un vescovo che era tacciato di connivenza con la teologia della liberazione e dunque con la dottrina marxista. Le lunghe e accurate ricerche dello storico Roberto Morozzo della Rocca hanno però convinto buona parte dei riottosi che in realtà Romero non era legato a nessuna ideologia politica nel suo servizio verso i poveri. Era un pastore, non un politico. Abbiamo incontrato il neo-cardinale Lacunza Maestrojuan nei giorni del Concistoro di metà febbraio…

*** 

Eminenza, la prima domanda è per così dire ‘obbligata’: che cosa ha provato quando ha saputo di essere nella lista dei nuovi cardinali annunciata da Papa Francesco all’ Angelus di domenica 4 gennaio?

Certo sono molto grato al Santo Padre per la mia designazione a cardinale. So però anche che diventare cardinale è una responsabilità in più, una grande responsabilità in più, poiché comporta un’accresciuta collaborazione con il Papa nel governo della Chiesa universale. Sarà il Papa a decidere che compito preciso affidarmi. Poi intendo la mia designazione come una spinta importante a una nuova evangelizzazione in un’America latina dove tra l’altro è molto cresciuta la diffusione delle sette.

Il Papa ha invitato più volte i neo-cardinali, per lettera e durante l’omelia della messa domenicale, alla sobrietà di comportamenti e a lasciarsi guidare dalla carità…

Sono convinto che la carità, cioè l’amore per il prossimo, sia al centro della nostra vita cristiana. E’ capitato e capita che tutti noi abbiamo commesso o commettiamo degli errori, ma ancora più importante, decisivo, è che dobbiamo essere pervasi, anzi infuocati dalla carità così che la nostra vita si sviluppi nella sequela di Cristo. Questo vale tanto più per noi cardinali: non sono né la berretta nè l’anello a connotare la nostra identità, ma l’amore di Dio. Gesù ha detto ai suoi discepoli di amarsi l’un l’altro ed è dunque questo il nostro compito decisivo: fare in modo che nella Chiesa sia effettivamente così.

Lei è nato a Pamplona, è uno spagnolo della Navarra che ha scelto la vita religiosa tra gli agostiniani recolletti ed è stato inviato a Panama quasi 44 anni fa. Si sente ormai panamense, come ha dichiarato, ma resta anche spagnolo e con questo rientra pienamente in una tradizione secolare. Le chiedo: che cosa ha apportato sostanzialmente la Chiesa spagnola a quella dell’America latina?

La fede in America latina è stata portata attraverso i missionari, attraverso i Conquistadores, certo da associare alle molte nefandezze compiute, alle tante prepotenze, ma anche al fatto che diedero all’America latina due elementi chiave della sua identità: la lingua e la fede. Dobbiamo rendere grazie a Dio per i molti religiosi, francescani, gesuiti, agostiniani che hanno dedicato con passione la loro vita alla trasmissione della fede in questo continente, che non a caso oggi è il continente della speranza per la vita della Chiesa.

Passiamo all’annunciata beatificazione dell’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero: che importanza assume per l’intera Chiesa latino-americana?

Credo che la beatificazione di mons. Romero sarà uno dei momenti più importanti, di certo storico per la vita della Chiesa nel Salvador e in tutto il continente. Costituirà infatti il riconoscimento ufficiale, solenne, del grande servizio pastorale di un uomo che dedicò la sua vita ai poveri e che, per questo motivo, fu vilmente assassinato nel  momento più sacro della messa, l’Elevazione. Riconosciuto martire in odio alla fede, è un grande testimone che può aiutare tutti noi latino-americani a vivere con coraggio maggiore la fede cristiana nella vita di ogni giorno.

La beatificazione di mons. Romero rimanda anche ai tanti altri sacerdoti e religiosi che furono uccisi negli anni ’70-’80 in America latina, da parti politiche opposte, proprio per la loro testimonianza di carità vissuta…

Non solo sacerdoti e religiosi, ma anche laici, catechisti…. Sono molte le persone che sono morte nel nostro continente perché mettevano in pratica con convinzione e con tenacia la parola del Vangelo. Sono state assassinate durante il loro servizio da chi non lo tollerava per ragioni di potere, ideologiche, economiche.

Lei pensa che anche il loro sacrificio potrà essere riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa universale?

È certo auspicabile che la beatificazione di mons. Romero apra la porta anche al riconoscimento ufficiale del martirio in odium fidei di tanti altri fratelli uccisi in America latina.

Una larga parte del popolo cattolico, prima di tutto quello centroamericano, poi di tutta l’America latina considerava da tempo mons. Romero un santo e ne portava l’effigie in processione

Credo che ciò sia accaduto spontaneamente già dal momento della sua morte, almeno per molti cattolici dell’America centrale. È stato considerato subito un santo, anche perché molti erano convinti che la Chiesa prima o poi l’avrebbe elevato sugli altari, avrebbe riconosciuto la sua santità.

C’è stata però una parte importante della Chiesa universale che considerava l’arcivescovo Romero un esponente importante della teologia della liberazione, cui rimproveravano la contiguità politica con il marxismo…

Bisogna sempre riandare ai tempi difficili, contrastati in cui mons. Romero visse e predicò. Erano tempi in cui, se operavi a favore dei poveri, facilmente ti veniva appioppata l’etichetta di essere subalterno alla teologia della liberazione, una sorta di marxista camuffato da cattolico. Ora un tale  giudizio sulla teologia della liberazione è stato consegnato alla storia, è superato. E’ ormai  riconosciuto che la Chiesa, le Scritture, il Vangelo chiedono un’opzione preferenziale per i poveri, che non è – come si sosteneva da una parte delle gerarchie ai tempi di mons. Romero – un’opzione di singoli ecclesiastici oppure una scelta politica sovversiva, ma è radicata nel Vangelo, derivando direttamente dalle parole e dai gesti di Gesù.

È noto che papa Giovanni Paolo II ricevette nel maggio 1979, per la prima volta e solo dopo una lunga attesa, l’arcivescovo di San Salvador. È vero che poi lo accolse più calorosamente una seconda volta e modificò la sua opinione. Però sotto Wojtyla la causa di beatificazione restava bloccata. Con Papa Ratzinger, che pure considerava personalmente Romero “un grande testimone della fede”, una persona “degna di beatificazi
one”, incominciò a muoversi nel 2012. Ora si è sbloccata definitivamente…

Papa Francesco è un latino-americano che comprende molto bene la realtà in cui è cresciuto e in cui si è sviluppato il Continente negli ultimi decenni. Il Papa ha più volte ben evidenziato che l’opzione preferenziale per i poveri la vuole il Vangelo: la forte proclamazione di Francesco ha già prodotto tanti e benefici riflessi nell’impegno ecclesiale quotidiano dei cattolici dell’America latina. Tale valorizzazione dell’opzione preferenziale per i poveri si è poi riflessa positivamente anche sul rilancio di una causa che sembrava ancora piuttosto addormentata: tutto si è accelerato e oggi siamo alla vigilia di una beatificazione, direi, ‘dovuta’ ed entusiasmante.

[Fonte: Rosso Porpora. L’intervista appare inoltre in forma cartacea nel numero di sabato 21 febbraio 2015 del ‘Giornale del Popolo’, quotidiano cattolico della Svizzera italiana]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Giuseppe Rusconi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione