Cardinale Herranz: valori e diritto nel caso del crocifisso

Intervento a una tavola rotonda a Roma

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ROMA, mercoledì, 23 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento che il Cardinale Julián Herranz Casado, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha pronunciato questo giovedì pomeriggio durante una tavola rotonda svoltasi a Roma con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri sul tema “Valori e diritto. Il caso del Crocifisso”.

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Sembrerebbe opportuno, e forse doveroso da parte mia, cercare di inquadrare il nostro caso nel contesto culturale della dottrina della Chiesa e dell’attuale clima socio-politico dell’Europa. In questo senso vorrei accennare a due fatti significativi: un gesto di assenso di Giovanni Paolo ii e una frase ormai storica di Benedetto xvi. Papa Wojty{l-lslash}a assentì in una nostra riunione di lavoro all’affermazione che negli ultimi cento anni il Magistero della Chiesa è stato orientato soprattutto dalla cogente necessità di difendere i diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto alla libertà religiosa, da due funeste utopie ideologiche diventate sistemi politici: l’utopia totalitaria della «giustizia senza libertà» (totalitarismi di destra e di sinistra: nazismo, comunismo, ecc.) e l’utopia libertaria o relativista della «libertà senza verità», oggi particolarmente influente in alcuni settori politici e mediatici europei.

Quest’ultima ideologia, com’è noto, nega l’esistenza di una verità oggettiva sulla persona umana e rifiuta l’esistenza di una legge naturale quale fondamento dei diritti universali (verità messa alla base della «Dichiarazione Universale dei Diritti Umani» dell’Onu), mentre affida al giudizio soggettivo del singolo o alla semplice opinione maggioritaria la decisione di stabilire sempre il vero e il giusto, anche quando si tratta di verità e valori assoluti e di diritti personali indisponibili. Benedetto xvi, che nella famosa omelia nella Messa previa al Conclave del 2005 denunciò già con coraggiosa intuizione la «dettatura del relativismo», ha affermato nuovamente sette giorni fa: «Quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico». Ciò che potrebbe avvenire anche a livello delle istituzioni officiali dell’Unione europea, se i più avveduti e democratici Stati membri del Consiglio di Europa non cercassero di impedirlo.

Riguardo alla religione, questa ideologia relativista si configura come «fondamentalismo laicista». Esso, allontanandosi dal retto concetto di «laicità», vorrebbe relegare la fede cristiana e il fatto religioso in genere nel solo ambito privato della coscienza personale, escludendo ogni segno, simbolo o manifestazione esterna della fede nei luoghi pubblici e nelle istituzioni civili (scuole, ospedali, ecc.). In questo contesto di fondamentalismo laicista va certamente inquadrata la sentenza della Corte di Strasburgo contro la presenza del Crocifisso nelle scuole italiane, benché venga pretestuosamente e unilateralmente invocato il diritto alla libertà religiosa.

La sentenza, infatti, sostiene che l’esposizione del Crocifisso nelle scuole costituirebbe una pressione morale sugli alunni in formazione e lederebbe di conseguenza la loro libertà di aderire a una religione diversa dalla cristiana o di non aderire a nessuna religione. Cosciente che altri illustri Relatori ben più esperti di me nel diritto ecclesiastico e costituzionale della Repubblica italiana, faranno ulteriori approfondite considerazioni in merito, vorrei sommessamente fare alcuni sintetici rilievi.

1. Tale sentenza si richiama senza motivo (perché la semplice esposizione del Crocifisso non ha alcun carattere impositivo o discriminatorio) alla libertà religiosa degli alunni non cristiani, mentre non rispetta per quanto riguarda gli alunni cristiani delle scuole italiane e la patria potestà dei loro genitori, l’Art. 18 della «Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Questa norma, infatti, garantisce il diritto alla libertà religiosa, il quale include, tra l’altro: «la libertà di manifestare, individualmente o in comune, sia in pubblico come in privato, la propria religione».

2. La sentenza non ha ponderato sufficientemente che la «laicità» rappresenta, sì, un principio costitutivo degli Stati democratici, ma sono essi che determinano nei singoli casi le sue forme concrete di attuazione, alla luce delle varie circostanze e tradizioni locali. Non si tratta infatti di un principio ideologico da imporre alla società violentando le tradizioni, i sentimenti e le credenze religiose dei cittadini. A questo proposito, appare esemplare anche per altre Nazioni di profonde radici cristiane la sentenza del Consiglio di Stato italiano del 13 febbraio 2006 in merito alla presenza del Crocifisso nelle scuole.

3. Anche il concetto di «neutralità» religiosa cui si richiama la sentenza della Corte di Strasburgo è interpretato nel senso ideologico del relativismo agnostico. Infatti, la neutralità o aconfessionalità dello Stato significa unicamente che nessuna religione avrà carattere statale, ma non che lo Stato debba essere «anticonfessionale», cioè contrario alla presenza nelle istituzioni pubbliche di qualsiasi segno o simbolo religioso: tale atteggiamento di rifiuto della religione in se stessa farebbe dell’ateismo una specie di ideologia o religione di Stato e, nel nostro caso, del Consiglio di Europa e dell’Unione europea.

4. Oltre a non tener conto che in uno Stato di diritto il Governo deve servire la società e non opprimerla con l’imposizione di una propria ideologia, la sentenza della Corte europea di Strasburgo non ha rispettato il principio di sussidiarietà che presiede il rapporto Stati-Istituzioni europee. La Corte, infatti, sembra aver superato illegittimamente i limiti della propria competenza pronunziandosi su di una questione che riguarda la legittima e doverosa salvaguardia da parte di uno Stato delle tradizioni e della cultura nazionali, nonché degli impegni presi tramite concordati o convenzioni particolari con la Chiesa cattolica e altre eventuali confessioni religiose.

5. In tanti ambiti della società (basti pensare, per esempio, a insegne e simboli come quelli della «Croce Rossa», di determinate bandiere nazionali, di altri enti di diritto internazionale, e perfino delle farmacie, cliniche e ospedali, ecc.) la Croce è stata considerata per secoli un segno di alto valore civico e spirituale, dell’amore che accoglie fraternamente e guarisce, di uguaglianza di tutti gli uomini nella dignità personale e nella comprensione delle loro sofferenze e delle loro necessità, ma anche un segno di pace, di concordia, di perdono. Voler estromettere questo segno dai luoghi e dalle istituzioni pubbliche in nome di una presunta «neutralità» religiosa, sarebbe una manifestazione non soltanto di «cristofobia» più o meno larvata ma soprattutto di inciviltà.

6. L’esperienza ha dimostrato che la proibizione di ogni segno religioso nelle scuole (come è avvenuto in Francia nel 2004, prima dell’attuale concetto di «laicità positiva») non favorisce l’integrazione. A molti credenti non cristiani non dà fastidio studiare in un’aula in cui ci sia un Crocifisso, mentre considerano negativamente che la religione sia proibita nella scuola in nome della «laicità». Di fatto, come dimostra un documentato servizio dell’International Herald Tribune del 2008 (cfr. «Aceprensa», 1 ottobre 2008), un numero crescente di famiglie musulmane francesi preferiscono trasferire i loro figli nelle scuole cattoliche.

7. In Spagna, una sentenza del tribunale contenzioso amministrativo provinciale di Valladolid, in nome dei principi di uguaglianza e di libertà di coscienza, obbligò una scuola pubblica nel novembre 2008 a togliere il Crocifisso dalle aule, in contrasto con la giurisprudenza del Tribunale Costituzionale. Quest’ultimo, infatti, con sentenza del 21 febbraio 1986, aveva affermato che l’
aconfessionalità dello Stato non implica che le credenze e i sentimenti religiosi non possano essere oggetto di protezione; al contrario, il rispetto di queste convinzioni si trova alla base della convivenza democratica. Attualmente forti poteri mediatici e alcuni gruppi politici che sostengono da tempo l’ideologia del fondamentalismo laicista fanno pressione sul governo, perché prescinda dagli Accordi internazionali tra la Santa Sede e lo Stato spagnolo e perché in una pretestuosa eventuale legge «di libertà religiosa» da essi fortemente auspicata si proibiscano i Crocifissi e altri segni religiosi nelle istituzioni pubbliche e nelle cerimonie officiali (scuole, tribunali, ospedali, funerali di Stato, ecc.). Tutto ciò, anche se sanno che molto probabilmente la maggioranza dei cittadini, se interpellata con un referendum, sarebbe contraria.

Mi si permetta chiudere queste sintetiche riflessioni con un augurio. Poiché non soltanto la dottrina della Chiesa, ma anche la «Dichiarazione Universale sui Diritti Umani» dell’Onu, considerano che alla base di questi diritti c’è la persona umana con la sua dignità inalienabile, è da auspicare che pure le istituzioni dell’Unione europea tutelino questa verità sull’uomo. Una persona, cioè, la cui struttura ontologica e sociale non è quella di un essere dagli interessi puramente economici e temporali, ma di un individuo che, oltre a una intelligenza e libertà da rispettare, ha anche una dimensione trascendente e religiosa dello spirito che le leggi e le sentenze delle società veramente democratiche non possono ignorare, ferire o discriminare.

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ZENIT Staff

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