Cardinale ecuadoregno: “Il rosso della nostra veste ci ricorda il martirio”

Intervista al Cardinale Raúl Eduardo Vela Chiriboga

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di Carmen Elena Villa

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 23 novembre 2010 (ZENIT.org).- Monsignor Raúl Eduardo Vela Chiriboga era in ritiro spirituale, dopo aver rinunciato all’Arcidiocesi di Quito per limiti di età, quando ha saputo che Papa Benedetto XVI lo aveva convocato a far parte del Collegio Cardinalizio.

E’ uno dei due latinoamericani, insieme all’Arcivescovo di Aparecida (Brasile), monsignor Raymundo Damasceno Assis, creati Cardinali nel Concistoro che il Papa ha celebrato il 20 novembre a San Pietro.

I Cardinali devono “essere disposti a dare la vita per il bene della Chiesa, fondata da Gesù”, ha affermato.

Il porporato, di 76 anni, ha parlato con ZENIT della sua missione in questi 38 anni come Vescovo e della sua nuova nomina.

La sua prima missione episcopale è stata come Vescovo ausiliare di Guayaquil. Com’è stata quell’esperienza?

Cardinale Vela: Quando sono stato nominato Vescovo da Papa Paolo VI nel 1972 lavoravo da 4 anni come segretario della Conferenza Episcopale Ecuadoregna, e ho continuato a svolgere entrambe le funzioni, incarichi compatibili ma un po’ “forti”.

Benedico il Signore per aver avuto come maestro pastorale e spirituale chi poi è diventato Cardinale, Sua Eminenza Bernardino Echevarría (1912 – 2000) – un Vescovo con un lungo percorso pastorale, che è stato il secondo Arcivescovo di Guayaquil -, soprattutto per il servizio ai più bisognosi e lo spirito di preghiera che sapeva trasmettere a tutti i suoi collaboratori.

Poi è diventato Vescovo di Azogues…

Cardinale Vela: Sono rimasto lì per 14 anni. Era una Diocesi povera e nuova, io ero il secondo Vescovo. C’erano moltissimi fratelli indigeni. Ho potuto lavorare all’aspetto spirituale, che è quello fondamentale per il mio compito, ma anche a quello promozionale e sociale.

In quell’epoca c’è stata la riforma delle proprietà della Chiesa, soprattutto nelle Diocesi delle zone interne. La Chiesa ha deciso di dividerle e consegnarle agli indigeni, e negli anni in cui servivo ad Azogues ho vissuto da vicino quella problematica e la promozione che abbiamo fatto non solo a livello di consegna fisica dei terreni, ma anche di assistenza tecnica e creditizia.

Apprezzo molto la religiosità di quel popolo, forse è necessario purificarla sempre più, ma ritengo importante il suo profondo senso di responsabilità nei suoi rapporti con il Signore e con gli altri.

Perché dice che è necessario purificare sempre più la religiosità popolare in questa Diocesi?

Cardinale Vela: Perché a volte la religiosità popolare, se non la purifichiamo, si permea di certe cose  che non sono né dottrinalmente, né pastoralmente, né dogmaticamente conformi alla fede dei nostri avi. C’è allora una certa confusione, un certo dualismo, che non ha nulla a che vedere con un sano e retto senso religioso, che si pone in relazione con Dio.

In seguito è diventato Arcivescovo castrense…

Cardinale Vela: Anche questa un’esperienza meravigliosa, durante 14 anni. A volte la gente si può chiedere: “Che cosa può fare un Vescovo tra i militari, che si presuppone siano persone addestrate a uccidere, a difendere l’ordine anche con l’uso delle armi?

E’ stata un’esperienza molto piacevole. Ho imparato molto da loro a livello di onestà, rettitudine e servizio agli altri. In particolare, mi ha interessato molto il campo della famiglia del militare, perché è uno dei grandi pericoli della situazione, perché non si vive sempre insieme, visti i trasferimenti da un luogo all’altro. La famiglia deve sempre stare unita.

E’ anche un settore molto positivo per coltivare le relazioni umane, cercando la dignità di tutti, dai grandi militari ai soldati più umili. Spiegavo loro che per me non è importante che siano colonnello, generale, sergente o soldato, per me ciò che conta è che sono figli di Dio. Questo creava un clima di rispetto molto bello.

E la sua esperienza come Arcivescovo di Quito?

Cardinale Vela: Quando Giovanni Paolo II mi ha proposto di passare al servizio di Quito nel 2003, non è stato facile accettare. Dicevo al Signore “Confido in te”. Era una Diocesi grande, complessa, ho avuto il sostegno dei Vescovi ausiliari della Santa Sede, dei miei sacerdoti, delle mie comunità, soprattutto per quanto riguarda la preghiera.

La vita politica dell’Ecuador non è affatto semplice. Tre colpi di Stato tra il 1997 e il 2005. Come ha vissuto questi momenti, prima come Arcivescovo castrense e poi come primate dell’Ecuador?

Cardinale Vela: Lì ho scoperto quanto sia complessa la vita politica, quanto sia complessa la gestione della cosa pubblica. Una persona che deve dirigere una Nazione deve essere uno statista sereno, tranquillo, perché le questioni si presentano così rapidamente che possono spaventare ciascuno di noi.

Bisogna saper combinare gli aneliti di un popolo che siano riferiti solo al bene comune, è questa la complessità.

Quando il bene comune viene messo da parte inizia il conflitto, sorgono le differenze, le discrepanze, gli attriti, e ciò porta all’inimicizia. Purtroppo questo può portare a divergenze e divisioni tra il popolo, ed è molto doloroso.

In America Latina siamo molto attenti al dialogo. Non possiamo vivere solo dei litigi quotidiani. Il dialogo è un’arte. Non possiamo pensare che la nostra idea debba affermarsi ad ogni modo. Quando ci impegniamo nel dialogo dobbiamo cercare di essere disarmati.

Ora che ha terminato il suo servizio episcopale nell’Arcidiocesi di Quito e inizia la sua vita come Cardinale, a cosa si dedicherà?

Cardinale Vela: Vedremo cosa dirà il Santo Padre. Faccio parte del Collegio Cardinalizio, che come afferma il Codice di Diritto Canonico è composto da persone scelte dal Santo Padre per consigliare, aiutare, vedere le problematiche a livello universale come universale è la Chiesa.

Spero che il Signore mi ispiri e mi dia la grazia. E’ quando ci si sente piccoli e bisognosi della luce per la parola opportuna, la discrezione necessaria e soprattutto la testimonianza. Come sa, ora porteremo la tonaca rossa. Ci ricorda il sangue, e anche l’amore.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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