Cardinal Martino: “Nessuna agenzia ONU si può permettere di promuovere l’aborto”

E denuncia il tentativo di contravvenire al Piano d’Azione firmato al Cairo

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ROMA, mercoledì, 15 settembre 2004 (ZENIT.org).- “I governi hanno il dovere di denunciare l’UNFPA e le altre agenzie ONU che violano il Piano d’Azione firmato al Cairo cercando di promuovere l’aborto libero”, è l’appello lanciato dal cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

Il porporato, a dieci anni esatti dalla Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo, che lo vide alla guida della delegazione della Santa Sede, in una intervista concessa a SVIPOP, rivista telematica del Centro Europeo Studi su Popolazione, Ambiente e Sviluppo (CESPAS) tira le somme su quanto è accaduto da allora.

Il cardinale critica la politica portata avanti da alcune agenzie dell’ONU in favore dell’aborto e afferma: “Non a caso la Santa Sede ha tolto già da anni il suo contributo all’UNICEF”.

Cardinal Martino, che giudizio dare dieci anni dopo?

Card. R. Martino: La cosa fondamentale è ricordare che cogliemmo allora – Santa Sede e altri 40 Paesi con cui facemmo fronte – un importante successo nel bloccare il tentativo di introdurre per la prima volta in un documento internazionale il diritto all’aborto su richiesta. Si ricordi che allora l’amministrazione Clinton, rappresentata al Cairo dal vice-presidente Gore, era molto decisa e radicale su questo punto.

Ma alla fine la spuntammo e l’articolo 8.25 del Piano d’Azione approvato, afferma esplicitamente che “l’aborto in nessun caso deve essere considerato un mezzo di pianificazione familiare”.

Ma non mi sembra che quella formula abbia chiuso il discorso.

Card. R. Martino: No. Infatti da allora ogni Conferenza internazionale, fino all’ultima tenuta a Johannesburg nel 2002 sullo sviluppo sostenibile, ha visto il tentativo delle solite lobby di reintrodurre la questione in diversi modi.

E’ successo perfino alla Conferenza per l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale, con l’introduzione della gravidanza forzata come crimine contro l’umanità. Fosse passata un’espressione così generica anche il no di un marito all’aborto voluto dalla moglie avrebbe potuto essere sanzionato come crimine contro l’umanità.

Così dopo una dura battaglia sono stati introdotti due princìpi: anzitutto gravidanza forzata vuol dire violazione della donna resa incinta con l’intenzione di modificare la composizione etnica di un popolo; inoltre, questo non ha nulla a che vedere con le leggi che regolano la gravidanza. Ad ogni modo il principio stabilito nell’8.25 rimane ancora valido a tutti gli effetti.

Ciò non toglie che diverse agenzie ONU si diano da fare per aggirare quell’articolo e favorire l’aborto libero, oltretutto con fondi destinati agli aiuti allo sviluppo.

Card. R. Martino: Purtroppo è vero, ma qui si deve chiamare in causa la responsabilità dei governi. Non si possono versare fondi alle agenzie multilaterali e poi disinteressarsi di come vengono impiegati.

I governi devono controllare l’uso che viene fatto dei soldi dei propri cittadini e hanno il dovere di denunciare ogni violazione dell’8.25, secondo il quale nessuna agenzia ONU si può permettere di promuovere l’aborto. Non è un caso che la Santa Sede già da alcuni anni abbia tolto il proprio contributo all’UNICEF. Bisogna ricordare che questi organismi hanno soltanto un potere esecutivo e non possono permettersi di andare oltre il mandato conferito loro dai documenti firmati dai governi.

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ZENIT Staff

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