Calderon: Pasolini tra Freud e ‘68

Fino all’8 maggio, al Teatro Argentina la pièce ambientata nella Spagna franchista

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Il Calderon di Pier Paolo Pasolini per la regia di Federico Tiezzi registra un tutto esaurito per le prime serate al Teatro Argentina di Roma. “Un esperimento coraggioso ma di certo riuscito”, ha sentenziato la critica presente alla prima stampa. In effetti, non di facile fruizione è questa opera di Pier Paolo Pasolini che confonde il sogno con la realtà, in costante dialettica tra la morale anti-borghese pasoliniana e il pensiero freudiano, con excursus in mondi agli antipodi: dalla ricca borghesia franchista al sottoproletariato berbero di Barcellona, per concludere con una ricca middle-class ipocritamente liberale, atterrita in verità dagli scioperi del ’68.
La trama si snoda sul sogno di Rosaura nella cornice della Spagna franchista del 1967: nel primo sogno, Rosaura è una ricca aristocratica invaghita di Sigismondo, un rivoluzionario espatriato in Italia ai tempi della rivoluzione spagnola, che scopre essere il suo vero padre; nel secondo, Rosaura è una prostituta delle baracche dietro al porto di Barcellona, che si innamora di Pablito, un ragazzo di buona famiglia che si rivela essere il figlio dato in adozione anni prima; nel terzo è una donna di mezza età molto abbiente, rassegnata a una vita familiare insoddisfacente, che ritroverà il vigore e l’entusiasmo nell’incontro con Enrique, un giovane studente rivoluzionario, sceso in piazza nel maggio del 1968.
Dal punto di vista tecnico, la rappresentazione assume i connotati del sogno grazie al sapiente gioco di luci, a cura di Gianni Pollini, con alterne luci e ombre, tanti gli stacchi di buio, vere e proprie dissolvenze che segnano un distacco emotivo, come nel cinema. Sono queste le scelte stilistiche del regista Federico Tiezzi, che riecheggiano le tecniche cinematografiche, sia nelle pause che nella connotazione degli ambienti. La stessa sontuosità cinematografica si rintraccia nell’accuratezza dei costumi, di Giovanna Buzzi e Luisa Rufini, che risplendono magnificamente nei toni del bianco e nel nero, le cui forme sono identiche a quelle di Velasquez nei dipinti del Prado. In effetti, nel primo tempo è evidente si voglia riprodurre lo stanzone grigio a finestroni ritratto in Las Meninas di Velasquez, che si arricchisce di riferimenti proprio in accostamento alle preziosi vesti. Personaggi che assomigliano a tanti Pierrot – un’ennesima critica feroce della borghesia franchista – che vive in bianco e nero, senza nessuna passione autentica. Tutta l’opera è una severa allegoria contro la borghesia, la classe maggiormente invisa a Pasolini, il cui messaggio sotteso è l’impossibilità per ciascuno, di evadere dalla propria condizione sociale. Ed è su questa scia che si allinea Tiezzi, che indaga la fine della famiglia “borghese”, dilaniata dal ’68 e dall’avvento di Freud.
Un cast sublime di attori davvero molto eclettici e convincenti: eccelso Sandro Lombardi – qui anche drammaturgo – imponente Gianfranco Piazza e fenomenale Debora Zuin. Favolosa è Francesca Benedetti nel cameo di Dona Lupe.
Un’opera complessa dallo spirito tragicomico e sarcasmo tagliente, ben adattata da Federico Tiezzi, che rende questa pièce un capolavoro, per certi versi un’opera d’arte, che ben poco ha da invidiare alle messinscene del grande schermo: una sorta di “grande bellezza” teatrale.
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Teatro Argentina
Dal 20 aprile all’8 maggio
Calderon
di Pier Paolo Pasolini
Regia Federico Tiezzi
Drammaturgia: Sandro Lombardi Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi
Con: Sandro Lombardi, Camilla Semino Favro, Arianna Di Stefano
Sabrina Scuccimarra, Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Ivan Alovisio, Lucrezia Guidone, Josafat Vagni, Deborah Zuin, Andrea Volpetti
e con la partecipazione straordinaria di Francesca Benedetti
Scene: Gregorio Zurla
Costumi: Giovanna Buzzi e Lisa Rufini
Luci: Gianni Pollini
Movimenti Coreografici: Raffaella Giordano
Canto: Francesca Della Monica
Assistente alla regia: Giovanni Scandella
Produzione: Teatro di Roma e Fondazione Teatro della Toscana

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Rita Ricci

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