C'è vera libertà nel mondo occidentale?

Nel corso di una conferenza tenutasi ieri a Perugia, il card. Bassetti si è chiesto se la libertà non sia spesso “un vessillo agitato al vento senza preoccuparsi della condizione reale degli uomini”

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Libertà, responsabilità, speranza. È intorno a queste tre parole, strettamente legate tra loro, che si è snodato l’intervento del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, nel corso della conferenza Il destino della libertà. Quale società dopo la crisi economica, tenutasi ieri nel capoluogo umbro.

Impulso della sua riflessione è stata la domanda su cosa significa essere liberi. Parafrasando papa Francesco, il porporato ha ricordato che essere liberi non corrisponde a “fare tutto ciò che si vuole, lasciarsi dominare dalle passioni, passare da un’esperienza all’altra senza discernimento e seguire le mode del tempo”.

Misura della libertà è invece possedere “capacità di scelta”. Cioè, ha precisato il cardinale, “saper scegliere in piena autonomia assumendosi la responsabilità delle proprie decisioni di fronte agli altri e, in definitiva, di fronte al mondo”.

Dunque, non c’è libertà senza responsabilità. Ma anche senza speranza. “Come ha sottolineato Francesco – ha proseguito il card. Bassetti – , la libertà si accorda sempre con la speranza perché ‘dove non c’è speranza non può esserci libertà’”.

Speranza che non è un “vago sentimento ottimistico”, bensì è Gesù. “Un regalo dello Spirito Santo”, ha aggiunto il cardinale parafrasando ancora il Santo Padre. “E la speranza – ha aggiunto – se intesa laicamente assume un significato escatologico che non può non mirare al bene comune, al bene della comunità”.

Ma questa armonia tra libertà, responsabilità e speranza è una “prassi concreta” o qualcosa di “confinato nel campo delle buone intenzioni, degli ideali e dei valori declamati solo a parole”? L’Arcivescovo di Perugia si chiede pertanto “se la bandiera della libertà si riduca, a volte, a essere solamente un vessillo agitato al vento senza troppa preoccupazione per quello che accade realmente nella vita degli uomini”.

Un vessillo che si trasforma in cencio ipocrita. “I milioni di rifugiati e di sfollati che bussano alle nostre porte – si chiede retoricamente il porporato – hanno potuto conoscere realmente quella libertà di cui il mondo occidentale sembra cibarsi quotidianamente oppure vivono solamente una condizione di moderna schiavitù?”.

“Con gli occhi del pastore”, il card. Bassetti rileva l’esistenza di quelle “vite di scarto” denunciate dal sociologo Zygmunt Bauman, sottolineando inoltre che “sono in gran numero, forse la maggioranza”. Un altro sociologo, nonché economista, Mauro Magatti, ha parlato poi di “rifiuti” del “processo produttivo tecno-nichilista”. Questi emarginati descritti dai due sociologi “sono veramente così distanti dalle nostre esistenze?”, si chiede il porporato. Oppure, prosegue, “con il nostro individualismo esasperato, fatichiamo a riconoscerli, ad aiutarli e, soprattutto, ad amarli?”.

A queste domande il card. Bassetti ha provato a rispondere attingendo alla sua esperienza concreta, quella di un “pastore con l’odore delle pecore”. Di recente, il porporato, ha svolto una visita nella sua diocesi, dove ha avuto modo di confrontarsi con il mondo giovanile e constatare che “i giovani della nostra società – i nostri giovani, i nostri figli – vivono in condizioni sempre più drammatiche”.

Disoccupazione e solitudine (una “piaga invisibile” l’ha definita il card. Bassetti) sono le cause di questo disagio giovanile. “Giovani – ha proseguito – che non hanno un lavoro e che hanno ormai perso la speranza di trovarne uno” e che “il più delle volte, si sentono abbandonati da tutti”. Giovani “costretti a vivere un’esistenza precaria che uccide la loro dignità, che incrina la loro identità e che li colpisce fin dentro l’anima”.

Il card. Bassetti ha dunque esclamato che “come pastore non posso non ricordare a questi giovani, con tutta la forza che possiedo, che Cristo non li ha abbandonati! Ma li segue uno per uno. Gli sta accanto. E cammina con loro nelle loro sofferenze”.

La presenza di queste sacche d’insofferenza impone alla Chiesa, ma non solo alla Chiesa, bensì a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, ha aggiunto il cardinale, “di rimboccarsi le maniche e di soccorrere tutti coloro che vivono in una condizione di esclusione, che stanno ai margini della società e che non hanno niente”.

La “cesura profonda” tra chi è all’interno della “cittadella dei diritti” e chi è reietto e escluso dal “processo produttivo” è “una frattura inaccettabile agli occhi di Dio”. Del resto, “una società che non accoglie gli ultimi, che non abbraccia i suoi figli e non si prende cura dei poveri è una società che finisce per negare la paternità di Dio e per autodistruggersi”.

Una società che rischia di diventare quindi “matrigna”, poiché nega “la libertà fondamentale di ogni essere umano”, ossia “vivere nel rispetto della dignità umana”. Una società che sventola falsi vessilli di libertà.

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Federico Cenci

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