Brasile tra luci e molte ombre (Terza parte)

Il gigante sudamericano è il più “occidentale” dei Paesi del Bric

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Rimane una domanda: chi sono le persone che protestano? Sono giovani e adulti  che appartengono alla classe media, quella parte della società brasiliana che ha beneficiato maggiormente della grande espansione economica dell’ultimo decennio e che ora si aspetta di vedere soddisfatte le proprie aspettative sulla qualità della vita fondate sull’individualismo, il consumismo e il relativismo. La contrazione dell’economia, insieme all’impennata dell’inflazione degli ultimi due anni ha provocato diversi effetti molto negativi sulla classe media, tra l’altro fortemente indebitata. 

In questo senso, l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici è stato il provvedimento che ha scatenato le proteste di moltissimi brasiliani: la reazione violenta della polizia ha alimentato le critiche al governo, e spinto molti giovani appartenenti alla classe media a proseguire le manifestazioni. Infine, l’attenzione internazionale sul Brasile per le partite di Confederations Cup, ha rappresentato il momento giusto per far sì che delle proteste parlasse tutto il mondo.

Altro errore tipicamente figlio del capitalismo finanziario l’ha commesso la presidente Dilma Rousseff che ha spinto la crescita concentrandosi troppo sul salario minimo e la spesa pubblica, riducendo progressivamente l’avanzo primario dei conti pubblici, ed ha forzato le banche pubbliche a concedere facilmente il credito.

La conseguente inflazione non è stata immediatamente contrastata dal Banco Central alzando i tassi d’interesse, mentre il governo ha ritenuto di perseguire la strada politicamente più pagante, riducendo le imposte indirette e sussidiando i beni e servizi a maggiore impatto sui prezzi, come alimentari, carburanti e biglietti dei trasporti pubblici, il detonatore della protesta. Tutte azioni che si trasformano in vantaggio elettorale di breve periodo, ma accumulano squilibri che fatalmente giungono all’incasso, come cambiali.

Il paese deve passare da una crescita trainata dai consumi e quindi del credito (molti brasiliani appartenenti alle fasce più deboli della popolazione hanno potuto comprare macchine, televisioni e altri prodotti che prima non si potevano permettere, migliorando la loro qualità di vita ma raggiungendo livelli di debito, come detto non più sostenibile) ad una spinta dagli investimenti e da riforme strutturali di produttività. Ma non è così semplice in termini di consenso: la coalizione di governo resta ideologicamente di sinistra, e far passare riforme strutturali sarà difficile. Inoltre gli stessi sussidi, oltre a non incentivare il lavoro e la produttività, finiscono col danneggiare pesantemente lo sviluppo degli investimenti. Tenere bassi i prezzi dei carburanti, ad esempio, danneggia il gigante petrolifero statale Petrobras ma anche i produttori di etanolo da canna da zucchero.

Questo modello di crescita non poteva perdurare nel tempo e difatti si è esaurito man mano che l’economia ha assorbito la manodopera disponibile e l’inflazione, alimentata dalla domanda di beni di consumo e dalla crescente carenza di forza lavoro. Gli imprenditori denunciano da tempo un quadro sfavorevole all’investimento privato, causa tassazione elevata e caotica, una burocrazia soffocante, dirigismo statale, corruzione, conflitti d’interessi, evasione fiscale e cattiva gestione del denaro pubblico. Fattori che posizionano il paese solo al centotrentesimo posto nella classifica Doing Business elaborata dalla Banca Mondiale (2).

Secondo la Federazione delle Industrie di São Paulo, il governo di Brasilia perde più di 47 miliardi di dollari ogni anno per l’evasione fiscale, per la cattiva gestione del denaro pubblico e per la diffusa corruzione nel settore pubblico. Il dilemma che paralizzerebbe qualsiasi decisore di politica monetaria, tra privilegiare occupazione e crescita, oppure il controllo dell’inflazione, è acuito in Brasile dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2014.

Nella memoria storica del Brasile è ancora presente l’iperinflazione di fine anni ’80 e il governo cercherà di fare tutto il possibile per evitare il rischio di un avvio di campagna con i prezzi fuori controllo. Secondo diversi centri studi mondiali la presidente Dilma sta attraversando un momento difficile di popolarità, c’è chi parla addirittura di una perdita di dieci punti. (3) Nel campo della politica economica, la presidente ha eliminato le tasse su generi alimentari come carne, latte, riso, farina, patate, pane, caffè, zucchero, olio, banane, burro e pomodori, finora senza risultati apprezzabili.

Sembra che la Rousseff abbia capito che c’è bisogno di un cambiamento del modello macroeconomico di fondo. Il suo governo si è reso conto che l’effetto positivo derivante dall’inclusione di milioni di persone nella forza lavoro è finito, la domanda di beni di consumo di queste fasce della popolazione non può più, da sola, sostenere la crescita. E dunque è necessario spostare finalmente la domanda dal consumo e dalla speculazione agli investimenti, per aumentare la produttività dell’industria e sopperire alle carenze infrastrutturali del paese.

Per questo, negli ultimi mesi l’attenzione del Governo si è concentrata sulla creazione di un ambiente più favorevole all’investimento privato. Ne è un esempio la nuova legge sulla gestione dei porti, infrastrutture davvero strategiche per il paese, se si considera che di là passa il 95% del commercio estero brasiliano, che tuttavia a livello mondiale si colloca al 130° posto (su 144 paesi censiti) nella classifica che valuta l’efficienza del comparto. (4)

È una legge varata proprio il 4 giugno, dopo un durissimo iter parlamentare, grazie alla caparbietà con cui Dilma Rousseff l’ha sostenuta, definendola “vitale per la modernizzazione del paese”. Essa prevede una decisa privatizzazione del settore, sfidando una parte importante della base elettorale del Pt, i sindacati che a lungo in passato hanno bloccato qualsiasi tentativo di riforma del settore.

La legge introduce regole più snelle per le concessioni dei porti pubblici e l’apertura di porti privati, misure di rilevanza decisiva in un paese che ha oltre 7mila chilometri di coste e decine di fiumi navigabili per migliaia di chilometri. La scommessa è consentire ai prodotti brasiliani un accesso più rapido ed economico ai mercati mondiali, incidendo direttamente sulla loro competitività.

(La quarta e ultima puntata segue domani, martedì 25 giugno. La seconda parte è stata pubblicata domenica 23 giugno )

*

NOTE

(2) http://www.doingbusiness.org/rankings; l’Italia, sia detto per inciso, occupa la settantareesima posizione.

(3) Folha de S. Paulo, “Queda em popularidade por causa de inflação fez Dilma apoiar o Banco Central”, editoriale anonimo, 2 giugno 2013.

(4) Rapporto della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite, pubblicato il 14 maggio scorso.

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Carmine Tabarro

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