Brasile tra luci e molte ombre (Seconda parte)

Il gigante sudamericano è il più “occidentale” dei Paesi del Bric

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Analisi economica- finanziaria e politica

Dei quattro paesi Bric, il Brasile è quello che registra il calo del Pil (Prodotto interno lordo) maggiore unito ad una forte crescita dell’inflazione. Da una lettura decennale, la crescita dell’economia del Brasile non è mai stata paragonabile con quella cinese o indiana, normalmente molto più elevate. Nel caso brasiliano, in particolare nel periodo compreso tra il 2003 e il 2010, la crescita si è assestata in media intorno al 4%, contro il 10% per la Cina negli ultimi trenta anni e il 7-8% per l’India dal 1991.

Va aggiunto che il Brasile partiva da una situazione di sviluppo e di reddito pro-capite più elevato di quello degli altri due paesi e che, in ogni caso, i suoi ritmi di crescita hanno permesso di inserire, negli ultimi dieci anni, quasi 40 milioni di persone nella classe media, sollevandole dalla precedente situazione di povertà relativa e assoluta. Dobbiamo ricordare che nonostante questa crescita decennale, in Brasile ci sono ancora 65 milioni di poveri. Questo testimonia una cattiva redistribuzione del reddito e della giustizia sociale ed è un grande problema strutturale del paese. Secondo una ricerca del 2012 dalla Ong inglese Oxfam, il Brasile è il secondo paese con più disuguaglianza del G20, secondo uno studio condotto nei paesi che compongono il gruppo. Secondo questa ricerca, solo il Sud Africa è in una posizione peggiore del Brasile in termini di disuguaglianza.

La ricerca esamina, inoltre, la partecipazione al reddito nazionale del 10% più povero della popolazione di un altro sottogruppo di 12 paesi, secondo i dati 2012 della Banca mondiale. A questo proposito, il Brasile ha la peggiore performance di tutti, Sud Africa compreso. Molti centri studi parlano addirittura di “due Brasili”

Il documento dichiara che i paesi più diseguali del G20 sono quelli con economie emergenti. Oltre a Brasile e Sud Africa, Messico, Russia, Argentina, Cina, Turchia e Italia hanno i peggiori risultati.

Tutto questo nonostante l’economia del paese sia diventata la settima del mondo (Pil) e l’occupazione abbia toccato livelli record (lo scorso dicembre segnava il 4,6 %, il minimo storico assoluto, ma molto diffuso è il lavoro sottopagato). Si registra poi l’accesso di una parte rilevante della popolazione ai consumi, mentre si verifica una riduzione, sia pure moderata, nelle diseguaglianze in quello che era uno dei paesi con i maggiori scarti di ricchezza del mondo.

Quello che preoccupa gli analisti, è l’elevata corruzione, i diffusi conflitti d’interesse; l’inflazione, da diversi anni vicina al 6,5 % (limite superiore del margine di oscillazione da tempo fissato dal Banco Central, con obiettivo al 4,5 %); la decrescita del Pil stimato a inizio anno 2013 in rialzo, ma che nel primo semestre ha fatto segnare un deludente 2,77 %. Il rallentamento dell’economia riguarda anche altri paesi del continente latino-americano e pare mettere fine al processo di sviluppo galoppante in atto da un decennio, a causa della contrazione dell’economia cinese che ha ridotto l’importazione di materie prime da Brasile, Messico, Colombia, Cina e Perù.

Cosa si è bloccato: analisi macroeconomica

Dove nasce la crescita del Brasile? Le cause sono diverse. Con l’affermazione del Partido dos Trabalhadores (Pt), con la presidenza di Lula dal 2003 al 2010 e di Dilma Rousseff dal 1° gennaio 2011, gli sforzi di politica economica si sono concentrati sull’inclusione sociale di vaste masse di poveri e questo politiche hanno dato ottimi frutti sul lato macroeconomico, molto meno su quello della responsabilità personale.

Ricerche della Fundação Getúlio Vargas stimano che in questo periodo quasi 40 milioni di persone siano uscite dalla povertà, grazie al successo di estesi programmi di conditional cash transfer, che hanno fatto del Brasile un caso di studio mondiale per questo tipo di politiche sociali. Questo è stato possibile grazie al boom delle materie prime che ha fornito carburante fiscale al welfare, coprendo i deficit di riforme strutturali.

Inoltre, la grande massa finanziaria prima (periodo d’oro del capitalismo finanziario 2000 – 2007) e monetaria dopo (la grande massa di moneta stampata dalla Fed – Banca Centrale degli Stati Uniti) cercava porti sicuri di cui il Brasile ha goduto per diversi anni. Si trattava di enormi afflussi di capitali globali, tanto da spingere il governo brasiliano a frenare questa grande massa monetaria con una tassa sugli investimenti finanziari esteri.

Un fatto tangibile è il boom immobiliare. I prezzi medi nelle maggiori città sono aumentati del 140% dal 2008, divergendo dalla crescita dei redditi in modo molto simile a come è avvenuto con i boom di USA, Gran Bretagna e Spagna. Secondo diversi studi, il mercato immobiliare brasiliano è sovrastimato almeno del 50%. C’è da sperare che con un po’ di fortuna, la bolla si possa sgonfiare lentamente. 

Infine, vanno tenute nel giusto peso le politiche di liberalizzazioni del governo precedente (i due mandati di Fernando Henrique Cardoso, tra il 1995 e il 2002): l’insieme combinato di questi fattori ha creato le condizioni per il balzo dell’economia brasiliana dell’ultimo decennio, basato sul circolo virtuoso di credito abbondante, accesso al consumo delle classi popolari, aumento dell’occupazione.

Ma un ruolo fondamentale nella crescita del Brasile e dell’intero continente dell’America Latina l’ha svolto la domanda di materie prime da parte della Cina. Questo sviluppo, però, non era sostenibile nel medio lungo periodo.

Pian piano sono emerse le diverse patologie di sviluppo caotico, ovvero il bisogno di sostenere la domanda interna e far fronte ad una delle storiche carenze del Brasile come la bassa produttività del sistema industriale, la speculazione sulle materie prime, il boom immobiliare, il credito facile ecc.   

Bisogna dire che il governo del Pt, sin dal 2007, aveva compreso che puntare solo sui consumi non bastava, pertanto ha avviato una serie di imponenti piani di investimenti in infrastrutture. Prima il Plano de Aceleração do Crescimento (Pac), poi il Pac 2. Infine gli investimenti legati ai grandi eventi sportivi dei prossimi anni (Mondiali di calcio 2014, Olimpiadi di Rio 2016), hanno immesso nell’economia brasiliana oltre due trilioni di reais (oltre 800 miliardi di euro), in progetti che comprendono edilizia residenziale, trattamento dei rifiuti, trasporti pubblici, energia, sgravi fiscali a settori di rilievo strategico, realizzazione di impianti sportivi.

Ai brasiliani era stato detto che i lavori alle strutture (sette da costruire e altre cinque da ristrutturare) sarebbero stati finanziati con soldi privati, mentre i soldi pubblici sarebbero serviti per autostrade, metropolitane, aeroporti. Alla fine quasi tutti i fondi per i campi da calcio sono stati presi dalle casse dello stato, attraverso il Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social (Bndes), che è un’impresa pubblica legata al ministero dello sviluppo, dell’industria e del commercio estero.

A questo va aggiunto che il Brasile ha affidato gran parte dei lavori a imprese straniere. Inoltre, a parte i costi elevati dei materiali, il mantenimento di uno stadio con caratteristiche del genere implica una spesa annuale che corrisponde al 10 % del prezzo di realizzazione. Significa che in un decennio per quello stadio si sarà pagato il doppio.

E infine, durante la fase di costruzione, i costi sono aumentati e si sono accumulati ritardi. A dicembre del 2012, erano ultimati solo due dei sei stadi dove adesso si sta giocando la Confederations Cup (una sorta di torneo di riscaldamento in vista di quello del 2014).

Per gli aeroporti era stata prevista una spesa di 3,1 miliardi di dollari, divisi più o meno equamente tra investimenti pubblici e statali. Ma a gennaio del 2013, sola la metà dei trenta cantieri previsti in tredici aeroporti nazionali avevano iniziato i lavori. Al momento devono ancora partire i cant
ieri per sette aeroporti ed è stato cancellato il piano di espansione della pista di atterraggio all’aeroporto di Porto Alegre.

Lo stesso vale per la mobilità urbana. Si sarebbero dovuti realizzare cinquanta progetti nelle varie città del paese (per esempio a Manaus, São Paulo e Brasília) per 5,2 miliardi di dollari. Tredici, però, sono già stati accantonati per mancanza di fondi e di tempo, tra cui quello di un collegamento ferroviario tra l’aeroporto di Congonhas e il distretto di Morumbi, a São Paulo.

(La prima parte è stata pubblicata sabato 22 giugno. La terza puntata segue domani, lunedì 24 giugno)

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Carmine Tabarro

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione