Brasile tra luci e molte ombre (Quarta e ultima parte)

Il gigante sudamericano è il più “occidentale” dei Paesi del Bric

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E’ difficile dire se le politiche economiche della presidente Rousseff avranno successo. Per diversi motivi:

1) Il rallentamento della Cina sta trascinando al ribasso anche lo sviluppo del Brasile, le grandi multinazionali che in Brasile, e in altri paesi dell’America Latina, hanno investito per costruire i loro stabilimenti, come la General Motors presente in Colombia, hanno informato di non aver ulteriori progetti di investimenti in loco. Al contrario, stanno riducendo la loro presenza. In Brasile, l’industria manifatturiera ha conosciuto una contrazione del 2,1% nei primi quattro mesi dell’anno. Inoltre, è scesa di due quinti la domanda globale di metalli da parte della Cina, cosa che creato problemi anche al Cile e al Perù che hanno perso un quinto del loro Pil in seguito al calo dei prezzi delle materie prime metallifere, scesi ora al livello del 2003. I profitti delle imprese sono molto diminuiti.

2) Il presidente della Banca centrale degli Stati Uniti, Ben Bernanke, ha detto che se l’economia continua a migliorare, la Federal Reserve inizierà il tapering — la progressiva riduzione degli acquisti di titoli di Stato avviata per stimolare l’economia — a partire da fine anno, per azzerarlo a metà 2014. Così facendo, la Federal Reserve intende togliere il piede dall’acceleratore e fermare l’afflusso di 85 miliardi di dollari che mensilmente immette sui mercati per comprare titoli di Stato e obbligazioni. La sola prospettiva di una riduzione della liquidità ha avuto, e con ogni probabilità avrà, un impatto nettamente superiore sugli investimenti e le valute dei “paesi emersi”, tra cui il Brasile.

Il rally che hanno messo a segno negli ultimi anni questi investimenti è stato nettamente amplificato dalla speculazione sulla liquidità. Il gioco in gergo viene chiamato “carry trade” e funziona così: gli investitori si indebitano in dollari a costo irrisorio e investono in asset ad alto rendimento (tipo il Brasile) lucrando sul differenziale tra i tassi. Un “trade” molto comune che può diventare molto redditizio quando entra in gioco l’elemento valutario. E cioé se la moneta in cui si investe si rivaluta sul dollaro. Questo è successo soprattutto tra il 2009 e il 2010, biennio in cui, per citare i casi più eclatanti, il rand sudafricano e il real brasiliano si sono apprezzati di oltre il 40% sul biglietto verde.

Ora però il castello ha iniziato a sgretolarsi. In vista di una graduale riduzione della liquidità il dollaro si è rafforzato. Soprattutto sulle valute (monete) di Brasile e Sudafrica, che si sono svalutate sul dollaro del 7 e 9% in un mese. Mentre i tassi d’interesse sui titoli di stato del Brasile sono passati dal 9,20% del 4 gennaio 2013 a 11,76% il 20 giugno 2013.

Gli speculatori sono stati “costretti” a disinvestire in fretta per evitare perdite. Tutti i principali indici che monitorano gli investimenti nei Bric, che in questi anni avevano corso questa sosta, hanno invertito bruscamente la rotta. La fiducia perdurante degli investitori esteri, che costituisce un’importante fonte di risorse per la crescita dell’economia brasiliana, potrebbe tuttavia non bastare in mancanza di una ripresa dell’economia mondiale e un deciso cambio di rotta nella politica economica del Governo brasiliano.

Ritornano le parole che Papa Francesco ha detto ai partecipanti alla 38ma Sessione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), in corso a Roma dal 15 a 22 giugno, ricevuti nella Sala clementina: “La lotta alla fame passa per la ricerca del dialogo e della fraternità”: di fronte alla attuale crisi economica e alle sue conseguenze – con lo scandalo di milioni di persone che non hanno da mangiare, mentre la produzione alimentare sarebbe sufficiente – la risposta va cercata ponendo al centro l’uomo e la sua dignità “non come semplice richiamo, ma piuttosto quali pilastri su cui costruire regole condivise e strutture che, superando il pragmatismo o il solo dato tecnico, siano in grado di eliminare le divisioni e colmare i divari esistenti”.

Dall’attuale crisi globale, afferma infatti il Papa, “si potrà uscire completamente finché situazioni e condizioni di vita non saranno considerate attraverso la cifra della persona umana e della sua dignità. Persona e dignità umana rischiano di diventare un’astrazione di fronte a questioni come l’uso della forza, la guerra, la malnutrizione, l’emarginazione, la violazione delle libertà fondamentali o la speculazione finanziaria, che in questo momento condiziona il prezzo degli alimenti, trattandoli come ogni altra merce, dimenticando la loro destinazione primaria”.

Porre al centro dell’azione internazionale la persona vuol dire, in primo luogo, “contrastare i miopi interessi economici e le logiche di potere di pochi che escludono la maggioranza della popolazione mondiale e generano povertà ed emarginazione con effetti disgregatori sulla società, così come è necessario combattere quella corruzione che produce privilegi per alcuni e ingiustizie per molti”.

“La situazione che stiamo vivendo, se è direttamente legata a fattori finanziari ed economici, è pure conseguenza di una crisi di convinzioni e di valori, compresi quelli posti a fondamento della vita internazionale. Un quadro, questo, che impone di intraprendere una consapevole e seria opera di ricostruzione che tocca anche la FAO. Penso alla riforma avviata per garantire una gestione più funzionale, trasparente, equa. Un fatto, certo, positivo, ma ogni vera riforma consiste nell’acquisire una maggiore consapevolezza della responsabilità di ciascuno, riconoscendo che il proprio destino è legato a quello degli altri”.

Il Santo Padre, in proposito, ha ricordato la parabola evangelica del Buon samaritano, il cui significato – ha sottolineato – è “essere pronti a condividere ogni cosa e a scegliere di essere buoni samaritani anziché persone indifferenti alle necessità altrui”. 

(La terza parte è stata pubblicata lunedì 24 giugno)

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Carmine Tabarro

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