Blasfemia in Pakistan: una condanna per gli analfabeti

Se ne parlerà martedì prossimo in un convegno a Roma

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Quando non saper leggere può costare la vita. Martedì 21 gennaio alle ore 15.00, nel Convento Gesù e Maria in via del Corso 45 a Roma, avrà luogo: Legge sulla blasfemia e pena di morte in Pakistan: una condanna per gli analfabeti, tavola rotonda organizzata da tutte le associazioni dei cristiani pachistani residenti in Italia, nell’ambito del progetto La Chiesa e la Missione in Pakistan.

L’evento vuole sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla recente proposta della Corte federale per la sharia, il tribunale islamico del Pakistan, di estendere la pena di morte ai reati di blasfemia contro il Corano.

Interverranno tra gli altri: Cesare Mirabelli, già Presidente della Corte Costituzionale, On. Mariastella Gelmini, Forza Italia, On. Luigi Bobba, Partito Democratico, On. Eugenia Roccella, Nuovo Centro Destra, On. Elena Centemero, Forza Italia, On. Massimiliano Fedriga, Lega Nord, Attilio Tamburini, Osservatorio per la Libertà Religiosa del Ministero degli Affari Esteri e Roma Capitale, Luisa Capitanio Santolini,Italia-Pakistan ISIAMED, Luca Volonté, Fondazione Novae Terrae, Sara Fumagalli, presidente onorario Associazione Pakistani Cristiani in Italia, Sarwar Bhatti, presidente Pakistan Orient Christian Organization.

Attualmente la cosiddetta legge sulla blasfemia – corrispondente ai commi A, B e C dell’articolo 295 del Codice penale pachistano – punisce con la condanna a morte le sole offese al Profeta Maometto, mentre per le dissacrazioni del Corano è prevista una pena detentiva, nella maggior parte dei casi l’ergastolo. Tuttavia nel dicembre scorso la corte shariatica federale pachistana ha emesso un’ordinanza in cui si invita il governo a rimuovere ogni altra possibilità, e prevedere la pena di morte come unica punizione per i blasfemi.

«La proposta è tanto più grave – spiegano gli organizzatori – se si considera che in Pakistan per giudicare un atto blasfemo non è necessaria la volontarietà dell’accusato». Per essere condannati è sufficiente calpestare inavvertitamente una pagina di giornale su cui sono trascritti dei versetti del Corano, un’eventualità non così remota in un paese in cui quotidiani, riviste e cartelloni spesso riportano versi in arabo del libro sacro islamico. Peraltro – se appena il 69% degli uomini e il 45% delle donne sa leggere e scrivere in urdu – soltanto il 5% dei pachistani comprende pienamente la lingua araba. E quindi con la nuova proposta il 95% dei pachistani sarebbe esposto al rischio di una condanna a morte. Non mancano drammatici precedenti, tra cui il recente caso di Rimsha Masih e la strage di Gojra nel 2009, che ha avuto inizio proprio da alcune pagine di giornale trasformate in coriandoli per festeggiare un matrimonio cristiano. Alcuni bambini hanno ritagliato le pagine del quotidiano, ignorando che vi fossero stati trascritti dei versetti del Corano. Tanto è bastato perché una folla inferocita attaccasse un quartiere cristiano, incendiando quasi cento case e causando la morte di sette persone.

Usata il più delle volte impropriamente per risolvere questioni personali, la legge sulla blasfemia è un potente strumento contro le minoranze religiose. La commissione nazionale di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pachistana ha recentemente denunciato il notevole aumento delle accuse di blasfemia contro i cristiani. Dei 32 casi registrati nel 2013, infatti, 12 vedono imputati dei cristiani, 16 riguardano appartenenti alla minoranza ahmadi e 4 dei musulmani. Non mancano inoltre esecuzioni sommarie ad opera di fondamentalisti. Dal 1986 ad oggi si contano oltre 2500 vittime extra-giudiziarie.

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ZENIT Staff

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