Biagio Biagetti nella Basilica di Santa Croce a Ponte Milvio

Ricorre il centenario della decorazione musiva all’interno e all’esterno della chiesa romana

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

«Nasce una nuova fase della mia rubrica Letture Iconologiche. Ho infatti invitato alcuni valenti giovani studiosi a collaborare con loro propri contributi, dedicati in modo particolare ad opere d’arte provenienti o conservate in molte aree geografiche, di diverse epoche storiche, in modo da offrire al pubblico di Zenit un panorama più ampio dell’arte cristiana di tutte le regioni e di tutti i tempi.»  Prof. Rodolfo Papa

***

Ricorrono in questi giorni i 100 anni dalla decorazione musiva dell’interno e dell’esterno della Basilica di Santa Croce a Ponte Milvio ad opera di Biagio Biagetti, pittore, direttore dei Musei Vaticani, fondatore dello Studio Vaticano del Mosaico e del Laboratorio Vaticano del Restauro nella prima metà del secolo scorso.

L’opera consta nella realizzazione del frontone esterno, di due cappelle absidali e dei pilastri della navata centrale della Chiesa. I mosaici ricevettero all’epoca il plauso di mons. Celso Cosatantini, promotore nei primi decenni del secolo scorso di un riscatto dell’arte cristiana dalla crisi che stava attraversando. In quest’opera il prelato, creato in seguito cardinale da Pio XII nel 1953, vide risolto “il problema di quell’arte cristiana moderna che si vuole intonata all’antica. Non una riesumazione, ma una rinascita: non un lavoro di sola erudizione, ma di ispirazione[1].

La Chiesa fu voluta da Pio X per una duplice ragione: commemorare la vittoria di Costantino sul rivale Massenzio, nel 312 d.C., a Saxa Rubra e dotare il quartiere Flaminio in crescita demografica di una parrocchia. Il fregio esterno, che corre sotto una cornice per una lunghezza di 14,50 m e un’altezza di 3,50 m celebra l’Esaltazione della Croce. È la Croce, che apparve in sogno a Costantino con l’ammonimento in hoc signo vinces e campeggia al centro della composizione. Riprendendo fedelmente l’iconografia costantiniana, la Croce non rappresenta il dramma cruento del Patibolo, ma, dorata e gemmata, è signum salutis, segno di salvezza.

Essa è inclusa in un clipeo luminoso, circondato da dodici stelle, simboleggianti gli Apostoli. Ad ogni lato è rappresentato un gruppo di tre angeli in coro, di reminiscenza preraffaellita, sotto i quali tre pecorelle mistiche si abbeverano ai fiumi d’acqua viva scaturiti dal legno della croce. In adorazione stanno, a destra Costantino con quattro soldati, l’ultimo dei quali genuflesso, e a sinistra un sacerdote, uno schiavo, una madre, un padre che rappresentano rispettivamente, la chiesa, l’ordine religioso, la famiglia e la società (le varie categorie che beneficiarono della promulgazione dell’Editto di Milano del 313).

Decora l’insieme un fregio di fiori di passiflora stilizzati con i chiodi del supplizio, alternativamente ritti e capovolti. Nei due peducci, ai lati della facciata, sono fra racemi di ulivo e di quercia, il Serpente di bronzo e l’Ancora, simboli veterotestamentari della Croce.  L’Ordine dei Cavalieri di Costantino sovvenzionò a proprie spese la decorazione interna della chiesa, cominciando dalla Cappella di san Giorgio sita a conclusione della navata destra; quest’opera valse a Biagetti la Croce di cavaliere di merito dell’Ordine.  La Cappella ha forma semicircolare, coperta da una calotta sferica e, sopra l’altare realizzato da Aristide Leonori, reca l’effige musiva di S. Giorgio, protettore dell’ordine, eretto solennemente sull’arcione, e con in pugno una lancia terminante a croce, con la quale trafigge il drago boccheggiante ai suoi piedi, mentre macchie di sangue tingono l’erba e i fiori di sapore miniaturistico.

È un’allegoria del trionfo della Fede sull’Errore, come allegoriche sono le sei fanciulle ai lati del gruppo centrale, somiglianti e distinte, rappresentanti le  caratteristiche del Santo e dei Cavalieri dell’Ordine e ispirate ai mosaici ravennati di S. Apollinare Nuovo a Ravenna: la Castità ha un giglio in mano, e pudicamente si vela il volto, la Carità è in atto di offrire monete d’oro; l’Umiltà respinge una corona regale; l’Obbedienza si sottopone ad un giogo; la Fedeltà custodisce una chiave, ponendosi una mano sul petto in atto di giuramento; la Nobiltà regge in mano uno scettro e reca  sul capo una stella splendente. Sullo sfondo è un muro merlato e turrito, come se la lotta fosse  avvenuta presso le mura di una città ideale.

Nella conca absidale è sintetizzato il cielo, e tra lo scintillio di raggi, di stelle, di serafini, di angeli adoranti, campeggia il monogramma di Cristo. Vari motivi a palme, a festoni d’alloro e di quercia ornano lo zoccolo, l’arco e il suo intradosso. Nell’imposta dell’arco è  lo stemma dell’Ordine Costantiniano che riproduce il Signum di Cristo. Nella navata sinistra della Basilica, collocata specularmente rispetto alla Cappella di San Giorgio, identica nella struttura architettonica, Biagetti decorò, nel 1918, la decorazione dell’abside della Madonna realizzata nel 1918, su commissione dell’Associazione delle Donne Cattoliche Italiane. In essa è rappresentata la Vergine col Bambino in trono, circondata da S. Elena, S. Anna, S. Elisabetta e S. Caterina da Siena, in una ricca fioritura di gigli.

Per il gruppo centrale, in cui lo stile pittorico è ridotto all’essenziale, il pittore si rifece  ai prototipi dell’arte marchigiana del Trecento. Completa l’opera di S. Croce, la Via Crucis a mosaico sui pilastri della navata centrale. La trasposizione in tessere dei bozzetti biagettiani si rivela qui meno felice rispetto alle cappelle e al frontone esterno. I disegni originali infatti sono da considerare un capolavoro assoluto del pittore che in essi riversa la passione del cattolico impegnato e la maestria del appassionato studioso del corpo umano.

I mosaici dell’intero ciclo furono eseguiti dalla ditta Gianese di Venezia, ma il ricorso ai mosaicisti “marciani” non fu apprezzato: “Peccato – scriveva il Giornale d’Italia – che per la traduzione in musaico dei cartoni la nostra città debba ricorrere a Venezia! Ma perché non si ridà la vita feconda alla famosa e più volte secolare fabbrica dei musaici in Vaticano? Benedetto XV, che ha testè fatto riaprire la fabbrica degli arazzi dei Palazzi Apostolici, si meriterebbe certo la riconoscenza dell’arte, secondando i voti dei romani, che vorrebbero ritornata quella fabbrica agli antichi splendori, da cui tanti capolavori uscirono, da offuscare qualunque altra fabbrica del genere…[2]. A colmare tale vuoto sarà proprio Biagio Biagetti incaricato da Papa Pio XI nel 1931di dirigere il rinato Studio Vaticano del Mosaico.

Paolo Ondarza, Storico dell’arte e giornalista della Radio Vaticana

*

NOTE

[1] COSTANTINI Celso, I nostri artisti: Biagio Biagetti,in “Arte Cristiana”, V(1), 1916, pp. 13-16.

[2] Un gioiello di arte musiva inaugurato a S. Croce sulla Flaminia, Il Giornale d’Italia, 26 maggio 1916.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Paolo Ondarzo

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione