Familgia / Pixabay CC0 - AdinaVoicu, Dominio Pubblico

“Benedetta l’infertilità che ci ha reso tanto fecondi!”

Due coniugi spagnoli, Sandra e Pablo, raccontano la scoperta di una nuova fecondità matrimoniale dopo la diagnosi per la quale si erano rassegnati a non avere figli

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Il desiderio di essere genitori è già vivo, in Pablo e Sandra, sin dagli anni del fidanzamento. Sognano una vita insieme e una famiglia numerosa e sebbene qualcuno consigli loro, dopo le nozze, di prendersi un anno per loro stessi, di non cercare subito un figlio, i due giovani non vedono nessun valido motivo per ritardare quella promessa di felicità e sono, sin dal primo giorno, aperti alla vita.
La risposta non si fa attendere e, dopo tre mesi di matrimonio, Sandra è già in attesa del primo figlio: lo chiameranno Emmanuel. Il piccolo è destinato a una vita molto breve, solo sette settimane. Non arrivano altre gravidanze e i due cominciano a consultare i medici fino alla diagnosi infausta, a tre anni dal matrimonio: non possono avere figli. Ed Emmanuel, allora? Come è possibile che non possano averne se già ne hanno concepito uno? Questa diagnosi genera un poco di confusione e tanta sofferenza, ma si rivela più forte la preoccupazione di entrambi di non compromettere la loro relazione.
In un’intervista ad Alfa y Omega, pubblicata alcune settimane fa (link: http://goo.gl/75KAZq) i due coniugi spagnoli hanno raccontato il cammino di rinascita e di scoperta di se stessi, all’interno della relazione matrimoniale, che li ha portati velocemente dalla gioia delle nozze, verso il calvario dell’aborto e poi della ricerca esasperata di un figlio. Scartano con convinzione la fecondazione in vitro, perché non vogliono creare un figlio in laboratorio, per non parlare della sofferenza e dei “costi” emotivi e fisici che i trattamenti medici richiederebbero. E poi ci sono tanti bambini, che potrebbero aver bisogno di loro! Sono anni duri, racconta Pablo, ma belli; è un’attesa attiva in cui i due imparano a donare la vita, superando la prospettiva del figlio biologico. La scoperta dell’infertilità apre loro un cammino che si rivela necessario per ritrovare ciascuno la propria collocazione, nel ruolo di marito e di moglie: insieme riscoprono che la vocazione di ciascuno è l’altro e non un’idea generica di famiglia.
La vocazione di Pablo è Sandra e la vocazione di Sandra è Pablo. La sofferenza, sorprendentemente, rafforza il loro matrimonio, perché i due imparano a soffrire insieme, a perdonarsi e rispettarsi a vicenda, a mettersi l’uno al posto dell’altra, a essere empatici, a prestarsi attenzione, a non dare per scontato che l’altro possa comprenderlo. È viva in loro, la preoccupazione che la sofferenza possa allontanarli. Insieme piangono, insieme pregano. Questo li fa sentire vicini ma non solo, perché ci sono anche quei piccoli segni che fanno sentire loro che Dio è vicino.
Sandra rivela che la sua sofferenza è stata profonda, perché in questi casi è sempre la donna a soffrire di più, ma solo così ha capito che la sua famiglia è Pablo, che lei non è sola, che Dio le ha già regalato una famiglia: suo marito. Lui è la vocazione principale, non i figli, sebbene li desideri molto. Dio ha già compiuto la sua promessa regalandole Pablo. Forse questo è il messaggio più importante che la loro storia ha da dare al mondo: tante coppie sono spesso così concentrate sui figli che perdono di vista la propria relazione, il loro essere famiglia, prima ancora e indipendentemente dall’arrivo dei figli. È la sofferenza per il desiderio irrealizzato che li porta a esclamare “benedetta l’infertilità che ci ha reso tanto fecondi!” e non in riferimento ai figli adottivi, perché questi sono ancora lontani da venire e arriveranno non a colmare un vuoto ma a godere di un pieno d’amore e di donazione che già esisteva prima di loro.
La storia di Pablo e Sandra ci insegna che la fecondità non si esaurisce nella fertilità biologica. La fecondità si vive anche nel servizio alla Chiesa, nel lavoro con i giovani, in cui Pablo e Sandra sono impegnati. Lei ricorda che un giorno, guardando un gruppo di quei ragazzi, ha pensato “anche questi sono figli, sono figli nostri”, sono figli cui, per mezzo di Dio, hanno dato qualcosa della propria vita. Quando l’amore tra i coniugi è forte, allora diventa forte anche la loro capacità di accompagnare altri, di ascoltare la loro sofferenza e di guidarli. In questo processo di scoperta, Sandra e Pablo decidono di iscriversi a un programma internazionale di adozione e a un altro nazionale, per l’adozione di bambini con problemi di salute. Non riescono ancora, però, ad abbandonare la speranza di poter avere un figlio tutto loro e questa attesa del miracolo diventa un pensiero fisso, causa di tanta angoscia.
L’11 agosto 2013, dopo un periodo di esercizi spirituali in un monastero, arriva il miracolo, non quello desiderato ma un altro, forse più grande: l’abbandono alla volontà di Dio. I due rinunciano al desiderio di avere un figlio biologico e si rimettono alla volontà di Dio: rinunciano a fare “a modo loro”, affinché Dio possa fare “a modo suo”. È così che Dio compie le promesse, dicono nell’intervista, a modo suo. Ed è sempre il modo migliore! Esattamente un anno dopo arriverà una telefonata: c’è un bambino che li aspetta; è nato prematuro, pesa solo un chilo e questo potrebbe incidere sul suo sviluppo. C’è ancora un attimo di incertezza, chiedono di poterci pensare, in realtà vogliono andare a pregare in una chiesa vicina. La lettura che si offre loro nella preghiera è Isaia: “Ti ho scelto, non ti ho rigettato”: queste parole sono il segno che scioglie ogni riserva: se Dio ha scelto questo bambino e non lo ha rifiutato, chi sono loro per farlo?
È l’11 agosto 2014. Sandra e Pablo diventano genitori per la prima volta. Adottare un bambino aiuta ogni genitore a sentire che i figli non sono una proprietà e nemmeno un diritto ma un dono, per quanto possa sembrare banale, “un regalo che Dio ha lasciato sulla soglia di casa” dice Sandra, non qualcosa che hanno cercato per poter dire “è mio”! Impossibile per due persone il cui cuore è stato forgiato nel crogiuolo della sofferenza, non pensare alle madri biologiche che hanno deciso di far nascere i loro bambini pur sapendo di non avere i mezzi per prendersene cura dopo la nascita. Pablo e Sandra riescono ad accogliere, nella preghiera, anche le famiglie d’origine dei loro figli e ogni giorno pregano per loro, che hanno avuto il coraggio e la generosità di darli alla luce e di affidarli con fiducia alle cure di altri genitori.
In Pablo e Sandra, Dio ha compiuto la sua promessa e l’ha compiuta a modo suo: con generosità. Perché, dice Sandra a conclusione dell’intervista, “il modo” di Dio è la generosità! La storia di Pablo e Sandra è una delle tante, che si potrebbero raccontare, di giovani coppie che hanno accolto la sofferenza e l’hanno trasformata in una nuova vita, attraverso l’adozione di uno o più figli, a volte pur avendo figli propri; coppie che stanno seguendo il percorso di adozione (tre anni, come una lunga gravidanza);  giovani coppie in cui l’idea dell’adozione si sta facendo strada, perché essere fecondi, aperti alla vita, dicono, proprio come Sandra e Pablo, non è aspettare, passivamente, il miracolo ma anche andare incontro alle situazioni di bisogno.

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Valentina Raffa

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