Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi - Foto © Ufficio Stampa Policlinico Gemelli

Beatificazione di Ángel Cuartas Cristóbal e 3 Compagni: "Abbiamo bisogno di preti onesti e irreprensibili"

Omelia dell’Em.mo Card. Angelo Becciu

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Beatificazione di Ángel Cuartas Cristóbal e 3 Compagni, Seminaristi (†1936-1937). Martiri.
(Oviedo – Spagna – [09/03/2019] Ore 11.00)

Omelia dell’Em.mo Card. Angelo Becciu,
Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi
Cari fratelli e sorelle,
Nel Vangelo abbiamo ascoltato il racconto sempre commovente della vocazione dell’apostolo Matteo, denominato anche Levi, secondo l’usanza di coloro che, per i rapporti con i gentili, abbinavano al nome ebraico un altro termine greco o latino. L’evangelista Luca descrive l’essenziale di quell’incontro tra Matteo il pubblicano e Colui che doveva cambiare il corso della sua vita. Ma ancora più stringato è l’invito che Gesù rivolge a Matteo; un invito limitato ad una sola e perentoria parola: «Seguimi!». Iniziava così per il figlio di Alfeo una nuova epoca della sua vita, non più dedicata al chiedere ai concittadini di Cafarnao il tributo per l’autorità pubblica o publicum da cui derivava appunto il nome di pubblicano. Ormai egli era chiamato a dedicare la sua vita per chiedere agli uomini di rendere a Dio un altro tributo, quello della fede.
Anche questi nostri Beati: Angelo, Mariano, Jesus, César Gonzalo, José Maria, Juan José, Manuel, Sixto e Luis, un giorno hanno sentito la voce del divino Maestro che diceva loro: «Seguimi!». E hanno assecondato generosamente la chiamata divina, intraprendendo il cammino per diventare sacerdoti del Signore. Ma quel «Seguimi!», ad un certo punto, ha richiesto una disponibilità più grande ed eroica; e loro, ancora una volta, hanno detto «sì». Non hanno esitato a confessare il loro amore a Cristo, salendo con Lui sulla croce, nell’offerta estrema delle loro giovani vite. Accomunati dalla stessa testimonianza di fede in Gesù, i nuovi Beati furono vittime della stessa feroce violenza segnata da un’accesa ostilità anticattolica, che aveva come scopo l’eliminazione della Chiesa e in particolare del clero. Ai loro persecutori ed uccisori, bastò il fatto di identificarli come seminaristi per dare sfogo alla loro violenza omicida, mossi da odio viscerale contro la Chiesa e contro il cristianesimo.
Questi nove giovani, seminaristi dell’Arcidiocesi di Oviedo, erano convinti della propria vocazione al sacerdozio ministeriale, sinceramente impegnati in un cammino formativo per diventare servitori del Vangelo. Entusiasti, cordiali e devoti, si sono dedicati pienamente allo stile di vita del Seminario, fatto di preghiera, di studio, di condivisione fraterna, di impegno apostolico. Si sono sempre mostrati determinati a seguire la propria vocazione, nonostante il clima di intolleranza religiosa e consapevoli delle insidie e dei pericoli ai quali sarebbero andati incontro. Hanno saputo perseverare con particolare fortezza fino all’ultimo istante di vita, non negando la loro identità di chierici in formazione. L’affermazione della condizione di essere chierici equivaleva ad una sentenza di morte, che poteva essere compiuta immediatamente oppure dilazionata, ma non c’era alcun dubbio sul destino che attendeva i seminaristi, una volta individuati. Pertanto, ognuno di loro, in modo consapevole, ha offerto la vita per Cristo nelle circostanze tragiche verificatesi sotto la Seconda Repubblica Spagnola (1931-1939), specie nella rivoluzione di ottobre 1934 e nella guerra civile spagnola nelle Asturie negli anni 1936-1937.
Il Salmo responsoriale dell’odierna celebrazione ci permette, in un certo senso, di leggere alcuni momenti della testimonianza martiriale di questi giovani seminaristi. Quante volte avranno meditato le parole del Salmista: «Signore, custodiscimi perché sono fedele»? (Sal 85, 1-2). Non sono forse anche loro a ripetere questa invocazione nell’ora suprema della prova? Al momento della terribile minaccia da parte dei carnefici forniti di mezzi di oppressione, essi si rifugiano in Dio. E supplicano: «Pietà di me, Signore, a te grido tutto il giorno, […] a te rivolgo l’anima mia» (vv.3-4) vale a dire: non prevarrà su di noi la spietata prepotenza, perché tu sei la fonte della nostra forza nel momento dello sconforto e della debolezza. «Dio mio, salva il tuo servo, che in te confida» (v.2). Così il salmista. E così i nostri Beati nell’ora del martirio, quando furono finiti senza pietà. Essi non hanno salvato la vita temporale. Hanno trovato la morte. Hanno dato la vita terrena, per ottenere la vita vera ed eterna con Cristo.
In Cristo infatti, insieme al sacramento del battesimo, è iniziata la loro vita nuova. Ed ecco, cadendo per mano degli aggressori, rendono l’ultima testimonianza su questa terra, a quella vita che è in loro. La morte corporale non li distrugge. La morte significa un nuovo inizio di questa vita, che è da Dio, che diventa la nostra parte per mezzo di Cristo, per opera della sua morte e risurrezione. I nove Seminaristi dunque periscono; i loro giovani corpi rimangono senza vita. Ma la morte di questi innocenti annuncia con una forza particolare la verità espressa dal profeta Isaia nella prima lettura: «Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato» (58,11). Sì, questi giovani aspiranti al sacerdozio, catturati e in preda alla furia omicida rivoluzionaria anticristiana sono al sicuro, sono nelle mani di Dio che li guiderà nei sentieri della vita e farà brillare la loro luce fra le tenebre (cfr Is 58,10).
Provenienti da famiglie cristiane semplici e di un ceto sociale basso, figli della terra delle Asturie, oggi la Chiesa riconosce in questi nove Beati quella luce che ha brillato nell’oscurità della notte e continua a illuminare la strada dei credenti di oggi. Per questo la Chiesa, nel proclamarli “Beati”, ringrazia il Signore per la potenza che ha manifestato nella loro vita cristianamente virtuosa e nella loro morte eroica. La loro testimonianza è di grande attualità: essi non fuggirono di fronte alle difficoltà, bensì scelsero la fedeltà a Cristo. Il messaggio di questi seminaristi martiri parla alla Spagna e parla all’Europa con le sue comuni radici cristiane. Essi ci ricordano che l’amore per Cristo prevale su ogni altra scelta e che la coerenza della vita può portare fino alla morte. Ci ricordano che non si possono accettare compromessi con la propria coscienza e che non vi è altra autorità umana che possa competere con il primato di Dio. Con la santità della loro vita, i nuovi Beati parlano soprattutto alla Chiesa di oggi. Essi, con il loro sangue, hanno fatto grande la Chiesa e hanno dato splendore al sacerdozio. Siamo tutti turbati dagli scandali che sembrano non avere fine e che sfigurano il volto della Sposa di Cristo. Abbiamo bisogno di seminaristi, di preti, di persone consacrate, di pastori generosi come questi martiri di Oviedo. Abbiamo bisogno di preti onesti e irreprensibili che portino le anime a Dio e non causino sofferenze alla Chiesa e turbamento al popolo di Dio.
I nuovi Beati, con il loro messaggio e il loro martirio, parlano a noi tutti e ricordano che morire per la fede è un dono concesso solo ad alcuni; ma vivere la fede è una chiamata rivolta a tutti. Con il loro esempio e la loro intercessione, questi giovani seminaristi Beati, ci aiutino a ravvivare la nostra adesione a Gesù, manifestando con l’esempio della vita l’uomo nuovo di cui ci siamo rivestiti nel battesimo. Aiutino ogni battezzato a incamminarsi sulla via della santità e a vedere in loro modelli convincenti da perseguire con una donazione senza limiti nei confronti della chiamata di Dio. Per questo li invochiamo: Beato Angelo Cuartas Cristobal e otto compagni martiri, pregate per noi!

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ZENIT Staff

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