Cardinal Angelo Bagnasco

Conferenza Episcopale Italiana

Bagnasco a Rebibbia: "Anche sotto la superficie della corruzione, c'è un bene che cresce"

Il presidente Cei interviene agli Stati Generali dell’Esecuzione Penale e afferma la necessità di “pene adeguate per ristabilire ordine personale e sociale ferito”

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Un ordinamento penale “rispettoso” che “tenda ad essere non solo organizzazione di servizi, ma casa per tutti”, e che preveda quindi strumenti e strutture coerenti, pene adeguate, e un contesto politico che abbia come obiettivo la giustizia e tenga conto del desiderio di verità insito nel cuore di ogni uomo.

Non è un’utopia quella che propone il card. Angelo Bagnasco, ma un obiettivo preciso che l’Italia deve perseguire. Il presidente della Cei è intervenuto oggi pomeriggio a Roma, presso l’Auditorium della Casa Circondariale di  Rebibbia in occasione degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale e nel suo discorso affronta il tema del “bene comune”, categoria che – dice – “mai deve essere svuotata fino a diventare un puro nominalismo; né deve essere piegata a letture di tipo ideologico”.

Il bene comune – ha sottolineato l’arcivescovo di Genova – deve essere “tradotto e sviluppato all’interno di ogni aspetto della vita sociale e dell’ordinamento dello Stato”. Non si tratta di sacrificare l’individualità alla molteplicità, ma abbracciare una “dimensione comunitaria” dove ogni “io” è aperto a teso a un “noi” che “lo arricchisce e lo compie in un rapporto dinamico di dare e ricevere”.

È a questa relazione che, secondo il cardinale, “la società deve sempre tendere e convertirsi”, in quanto essa “permette ad una moltitudine di diventare una comunità di vita, capace di integrare ognuno dei suoi membri – a cominciare dai più deboli – secondo giustizia”.

Per questo compito così delicato, è necessaria “un’autorità politica capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso l’individuazione del bene comune, ma non in forma meccanica o dispotica, bensì innanzitutto come forza morale alla luce della libertà e della coscienza del compito ricevuto”. 

In tal ambito rientra anche il discorso dell’ordine e della sicurezza sociale che – evidenzia Bagnasco – “richiedono un ordinamento, strumenti e strutture coerenti, al fine di assicurare anche pene adeguate, che siano in grado di ristabilire l’ordine personale e sociale ferito, che abbiano una funzione deterrente, e nello stesso tempo tendano al riscatto umano del colpevole”.

La pena, afferma il presidente dei vescovi italiani, deve sempre avere una intenzionalità “non solo preveniente e compensativa”, ma anche “medicinale” affinché “nessuno sia abbandonato ai bordi della strada e la comunità civile svolga il proprio ruolo verso tutti”. In una società intesa come rete di relazioni, infatti, “non esiste un atto criminoso che resti isolato: anche quello che colpisce una singola persona ha sempre una ricaduta generale”.

È poi fondamentale la giustizia: senza di essa – afferma il porporato – “è impossibile perseguire il bene comune e quindi una società ordinata e vivibile”. Giustizia che viene intesa come il vivere secondo verità, messa in atto “con comportamenti adeguati”: “Il legislatore anche con leggi coerenti. Lo Stato con un ordinamento rispettoso”.

“Riconoscere a ciascuno il suo, pertanto, non può significare la codificazione di desideri, pulsioni, preferenze, gusti dei singoli soggetti individuali o associati, ma il riconoscimento di ciò che compete ad ogni soggetto in quanto tale, nelle istanze di fondo comuni agli altri, istanze che, pur essendo comuni perché ineriscono alla natura o verità delle cose – persone, famiglie, associazioni…- non omologano tutto e tutti, ma sono in grado di tradursi con discernimento e equità”, spiega il cardinale.

Che sposta quindi l’attenzione sull’attualità, su “una cronaca che spesso semina ombre sui nostri giorni”. Bagnasco osserva: “A volte, tale è la ricorrenza e la pesantezza dei fatti, che possiamo essere indotti a vedere solo oscurità e a perdere la fiducia. È una tentazione a cui reagire, poiché, se da una parte non possiamo chiudere gli occhi sul buio, dall’altra non possiamo chiuderli sulla luce”.

La luce, cioè, “del bene, della vita nella verità, dell’agire morale”, che come la foresta che cresce, “non fa rumore, non urla”. “Paradossalmente questo tipo di luce a volte si vede poco”, sottolinea il cardinale. Tuttavia, assicura, “sotto la superficie spumeggiante che fa emergere il peggio, sta la vita che brulica, il bene nascosto, l’onestà a tutta prova, il gusto di andare a testa alta non per alterigia ma per onestà nel lavoro, nella famiglia, nel sentirsi parte di una storia, di una fede, di una cultura, di un popolo con gioia, senza alterigia e senza complessi”.

La domanda è allora “come reagire alla realtà della violenza, del sopruso, del colpevole disinteresse, del raggiro?”. “Certamente le leggi e le pene sono una risposta doverosa – ribatte l’arcivescovo di Genova – ma la moltiplicazione delle leggi non può forse indicare una certa difficoltà? Come se la società potesse reagire solo normando ogni comportamento?”.

La discussione si sposta quindi sul piano della coscienza che le leggi non possono normare. Esse, rimarca il presidente Cei, “hanno certamente una ricaduta anche educativa, nel bene e nel male, ma la coscienza è un’altra cosa”. È “quella sfera che riguarda non solo il modo di agire ma quello di pensare, di credere, di vedere l’uomo, la società, le relazioni. E quindi di progettare”.

“Quando la cultura diffusa alimenta miti, esigenze, simboli vuoti, mode, nasce una società sotto il segno della menzogna che induce a comportamenti tragicamente coerenti con una bolla di fantasmi”, sottolinea Bagnasco. “È dunque una partita persa?”. No, affatto, perché “sotto la cenere, la brace del bene e dell’onestà continua a crepitare”; essa, però, “deve diventare un fuoco che arde”.

Ciò, afferma il porporato, sarà possibile solo tornando “alle verità semplici e note, a quei valori genuini che soprattutto i giovani desiderano, a volte senza saperli chiamare per nome”. “Bisogna far brillare ideali alti, veri e belli per cui vale la pena di lottare e soffrire”, è dunque il suo incoraggiamento, “occorre riscoprire l’alfabeto dell’umano che si vuole stravolgere sulla spinta di colonizzazioni che vengono da lontano”.

Al contempo non si può “sottovalutare la forza della coscienza” che, sì, “può essere corrotta da una cultura diffusa e menzognera”, ma “non può rimanere corrotta per sempre”. Essa, assicura Bagnasco, “si autorigenera, all’improvviso si risveglia, fino a diventare un detonatore”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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