Avvento: la vita è gioia quando è “Piena di grazia”

III Domenica di Avvento, 12 dicembre 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 10 dicembre 2010 (ZENIT.org).- “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dire agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete!  Ecco il vostro Dio,(…) Egli viene a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua.(…)…felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.”(Is 35,1-10).

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!”.

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alla folla: “(…)..che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta.(…) In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11,2-11).

In questa III Domenica il volto dell’Avvento, finora serio come il viola dei paramenti, si fa radioso e rosa come il sorriso di un bambino.

Piccola sorpresa liturgica che prepara il cuore all’annuncio ben più sorprendente del profeta: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa..” (Is 35,1).

Con il canto del ritorno degli Israeliti da Babilonia, Isaia si fa voce non solamente del sogno del popolo esiliato da Nabucodonosor nel 586 a.C. (dopo la distruzione di Gerusalemme), ma anche di quell’anelito profondo e insopprimibile del cuore umano che tanto spesso la dura realtà della vita vanifica crudelmente.

Sì, per molti l’esistenza terrena ha il sapore amaro dell’esilio, poiché il dolore, crudele e inesorabile come il re caldeo, sradica il cuore da quella gioia di amare e di essere amati che è la patria vitale di ogni essere umano, creato a immagine e somiglianza della Gioia infinita di Dio.

Lasciamoci allora incantare dalle parole e dallo sguardo del profeta.

A partire dal mondo naturale e vegetale, Isaia annuncia una sorta di impossibile generazione: la desolazione arida di partenza (deserto, steppa, terra arida) sarà trasformata nello splendore dei prati (narcisi), nella maestosità dei boschi di cedro (gloria del Libano), nella fecondità sovrabbondante delle sorgenti (acque, torrenti).

La gioia sarà incontenibile, come davanti al moltiplicarsi di miracoli di guarigione: “si apriranno gli occhi;..si schiuderanno gli orecchi;..lo zoppo salterà..; il muto griderà di gioia..scaturiranno acque..scorreranno torrenti…gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto” (Is 35,5-10).

Sogno o realtà??…realtà!

Anche se:“Certo il deserto resta arido; i ciechi, i sordi, gli zoppi, i muti di Israele non sono fisicamente guariti, ma il filo verde della speranza trasforma desolazione e sofferenza e fa rinascere la gioia di vivere” (G. Ravasi, Secondo le Scritture, p. 21).

Allora ci chiediamo: come può rinascere la gioia se si rimane in un irreversibile esilio? Non è più necessario tornare in patria? Cos’è e dov’è questo “filo verde della speranza”?

La risposta a queste domande la troviamo oggi nel Vangelo.

Vediamo Giovanni il Battista, che aveva riconosciuto ed indicato a tutti l’Agnello di Dio, dall’esilio del carcere fa chiedere: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11,3). Dimostrazione sconcertante che dubbio e sofferenza possono insidiare la memoria e la coscienza al punto da far vacillare anche un profeta di Dio!

La risposta di Gesù non sembra, per altro, soddisfacente: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista..” (Mt 11,4-5): possibile che Giovanni non fosse informato dei miracoli del Signore? 

Probabilmente, anche l’ascetico precursore del Signore si augurava che Gesù iniziasse un movimento di liberazione sociale immediata, sia pure con le sole armi della sua parola e della sua persona. L’attesa esteriore del regno di Dio pativa così continue delusioni, e Giovanni, che ne risente, è portavoce del clima generale.

Ma Gesù conclude: “E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Mt 11,6).

Affermazione meravigliosa che intendiamo in due modi: anzitutto è la persona e il comportamento di Gesù che non devono suscitare giudizio e scandalo per il fatto di non corrisponde alle nostre attese umane; in secondo luogo, è solo in Gesù, cioè inseriti in Lui per mezzo della fede, che, nelle situazioni più difficili e dolorose, non si cade in quello scandalo che, per l’umana fragilità, spinge a interpretazioni e soluzioni istintive e sbagliate.

Tutto ciò ha a che fare anche con l’ultima, misteriosa affermazione del Signore riguardante il Battista: “il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11,11b).

Qui non si tratta di un confronto tra realtà omogenee fra loro: Gesù fa riferimento alla novità dello Spirito, con il quale viene inaugurato un ordine di vita tanto superiore a quello antico, da non essere ad esso paragonabile, come l’uomo non è paragonabile all’animale.

Siamo così orientati ad una grande verità: la trasformazione della persona ad opera dello Spirito Santo e della Grazia:

La trasformazione del corpo, cioè dell’essere intero umano, è posta al centro anche della risposta autobiografica che il Cristo offre ai discepoli del Battista. Col suo ingresso nel mondo certamente molti malati sono stati guariti dai suoi miracoli, ma soprattutto molti ciechi nello spirito, molti storpi nell’inerzia, molti lebbrosi nell’isolamento, molti sordi chiusi in se stessi, molti morti alla speranza sono stati liberati e salvati. Ed è proprio con questo popolo di sofferenti, di poveri e di piccoli che Cristo costituisce la nuova comunità a cui annunzia la buona novella del Regno e dell’amore di Dio.” (G. Ravasi, id.).

Tale  annuncio trasformante è in grado di suscitare il filo verde della speranza e della gioia in chi lo ascolta, anche senza guarigione fisica del corpo.

Infatti com’è vero che l’organo dell’ascolto della Parola di Dio è il cuore, così è vero che l’organo della gioia è il medesimo cuore, non il corpo fisico. Il cuore, poi, per la Bibbia, non è la parte emotiva dell’uomo, ma la persona intera davanti a Dio, con tutto il suo vissuto.

Così il “cuore nuovo” (Ez 36,24s) annunziato dai profeti prima di Giovanni il Battista, altro non è che la persona trasformata dalla Grazia, come Maria la “piena di grazia”.

La gioia proviene dalla Grazia. Può rallegrarsi per la gioia che possiede, solamente chi vive nella Grazia.  Per questo il saluto dell’Angelo a Maria comincia così : “Rallegrati, o piena di Grazia: il Signore è con te” (Lc 1, 28).

Anche negli anni prima dell’Annunciazione Maria era p
iena di limpidissima gioia, ma nemmeno Lei ne conosceva il motivo. Glielo rivela l’Angelo stesso quando La chiama “piena di Grazia” (Lc 1,28).

Che cos’è, infatti, la Grazia?

La Grazia non è come la bellezza, una qualità della persona, anche se di questa si dice che è “graziosa”. La Grazia non è l’acqua che riempie il mare, o la sua trasparenza e purezza.

La Grazia è la corrente, è il flusso. La Grazia è relazione, come tra il bambino e la mamma; è simile al legame tra il suo io e il tu della mamma, e tra l’io della mamma e il tu del bambino; è il dinamismo nell’amore della loro comunione vitale.

La Grazia è intrinseca alla relazione di appartenenza tra Dio e l’uomo.

La Grazia è comunione con Dio, e suscita gioia e amore nel cuore come il sorriso del bambino è suscitato dalla mamma che si china su di lui con la dolcezza della sua presenza amorosa.

Quando una persona sorride, essa appare “aperta”, il suo volto radioso “si apre”, mentre appare il contrario quando essa “si chiude”, si isola volontariamente assumendo un atteggiamento taciturno, che oscura il volto ed impedisce la relazione con l’altro, quasi dicendo: non desidero parlarti, non desidero ascoltarti, non desidero vederti.

Un simile comportamento è una contraddizione profonda con la persona in quanto tale, essendo essa definita proprio dalla relazione di amicizia nell’amore e nella reciproca accoglienza. In questo stato, la persona è povera o addirittura vuota di Grazia, povera e vuota d’amore.

Maria, invece, è piena, ricca di Grazia, perciò è piena di felicità.

La Grazia fa sì che Maria sia una persona completamente aperta, spalancata, sempre disposta a mettersi nelle mani di Dio come un bambino, illimitatamente, senza timore alcuno.

Essere “pieno/a di Grazia” (anche a Gesù è dato questo nome in Gv 1,14b) significa vivere una relazione piena di fiducia e di amore con Dio, nello Spirito Santo.

Uno dei titoli con i quali veneriamo Maria è “porta del Cielo”.

Esso non vuol intendere solamente che per Lei abbiamo accesso al Paradiso, ma ha anche un significato ontologico, nel senso di affermare che l’essere di Maria è una porta spalancata, una soglia “senza porta” che si possa chiudere o accostare anche solo un poco.

Quando la porta è spalancata si sente ogni rumore, si è esposti a chi potrebbe entrare, si è indifesi; nello stesso tempo si può scorgere da lontano una persona che viene, ci si può alzare per accoglierla senza indugio, senza ostacoli, mentre anche l’altro vede attraverso la porta e si affretta.

Così comprendiamo che Maria, la “piena di Grazia”, è persona perfetta che sa ascoltare ed accogliere tutti con la luce immacolata del suo sorriso, e non si rinchiude mai in se stessa per difendersi o isolarsi.

Maria è il sorriso di Dio fatto creatura umana, fatto donna, fatto mamma.

Con tutto il suo essere ella è protesa verso il Padre, verso la sua Parola fatta carne in Lei; e in Gesù, Maria è protesa ad ogni uomo di cui è madre nel suo Figlio divino

Ella mai si è chiusa in se stessa a causa della sofferenza, come istintivamente facciamo noi; perciò è sempre pronta a soffrire e ad accettare ogni aumento di sofferenza per amore.

La sofferenza tuttavia, da Lei sperimentata con particolare intensità, non allontana dal suo cuore la Gioia, poiché rimane sempre la “piena di Grazia”. Anzi, il dolore, rendendola più conforme al Figlio crocifisso, partecipe del Suo Amore, La fa essere ancor più “piena di Grazia”, poiché Le riempie il cuore dilatandolo senza schiantarlo (Sal 119,32).

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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