Avvento: la speranza della vita è una ruspa silenziosa

II Domenica di Avvento, anno C, 6 dicembre 2009

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 4 dicembre 2009 (ZENIT.org).-“Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (Lc 3,1-6).

Il Vangelo di questa II Domenica di Avvento ci sorprende: perché tutte queste informazioni politico-religiose sulla Palestina? Che importa alla fede sapere quanti anni ha l’impero di Tiberio, l’elenco dei suoi ministri e il nome dei sommi sacerdoti? Il motivo non sta solo nell’esigenza di fornire accuratamente le coordinate storico-religiose della venuta del Salvatore, ma anche e soprattutto nel fatto che da tali informazioni ci giunge il messaggio che Gesù è vivo nella storia di oggi, sia quella personale di ognuno, sia quella sociale e politica del mondo intero. E’ perciò chiaro che il 27/28 a.C. è il 6 dicembre 2009, giorno in cui la Parola di Dio viene su ognuno di noi come allora venne su Giovanni.

Anno 2009 dunque, quando il Papa è Benedetto XVI, il presidente Silvio Berlusconi; mentre Berlino celebra il ventennale della caduta del muro e Oslo consegna a Obama il Nobel per la pace; anno delle Olimpiadi cinesi e del virus A1 N1; quando mezza Italia ha applaudito all’omicidio di Eluana e più di mezza considera libertà uccidere in grembo un figlio, e ucciderlo comodamente a casa propria; mentre i “grandi” del pianeta hanno deciso di non far nulla per salvare dalla morte di fame un sesto dell’umanità, e il presidente, gli assessori e i consiglieri dell’Emilia Romagna si apprestano ad equiparare sul piano giuridico qualsiasi tipo di convivenza civile…A questo quadro storico internazionale e nazionale va poi aggiunta la storia personale di ognuno, poiché la Parola di Dio non intende assolutamente…rispettare la privacy.

Luca ci presenta oggi uno dei grandi protagonisti dell’Avvento, Giovanni il Battista. Egli è l’unico (oltre a Maria) a conoscere l’identità divina del Messia che sta per venire. La sua investitura spirituale è solenne, ma avviene nel segreto e nel silenzio: la Parola di Dio venne su Giovanni, nel deserto. Davide M. Turoldo la descrive così: “Ma la Parola invece discese a volo d’aquila sopra la preda: lui era solo attesa e silenzio, sotto la tenda da anni in silenzio”.

Un’aquila dall’aspetto di colomba, se cogliamo il riferimento allo Spirito Santo sceso su Maria a Nazaret. Parallelo, questo, richiamato anche dalle conseguenze simili del “raptus”: come Maria subito dopo “si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa”(Lc 1,39) da Elisabetta incinta al sesto mese, così Giovanni subito “percorse tutta la regione del Giordano” predicando la venuta del Signore.

Entrambi accolgono la Parola della Vita ed entrambi sono mossi ad annunciare e a servire la vita, poichè: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”(Is 55,10-11).

In ogni luogo e in ogni tempo il Creatore di tutto ciò che esiste manda la sua Parola per far germogliare la vita, ma anzitutto la invia nel grembo umano. E’ qui che si rinnova quella “pienezza del tempo” (Gal 4,4) che celebriamo nel Tempo dell’Avvento: facendosi uomo, Dio, per così dire, si è fatto ogni uomo concepito sotto il cuore della madre. E’ una pienezza che significa totalità perfetta, e che va messa a fuoco nell’ “hic et nunc” della fecondazione, istante in cui si fondono la totalità presente della persona umana concepita e la perfezione del suo sviluppo biologico, autonomo, unitario ed irreversibile.

Ho accennato che Giovanni non è l’unico a conoscere l’identità di Colui che sta per venire: prima di lui c’è Maria, che con il “sì” a Gabriele ha permesso alla Parola di diventare carne sua, e ora attende in silenzio l’evento del parto. Ecco: come Maria sa bene Chi è e da dove viene il suo Bambino, così ogni donna incinta sa bene di portare in sé un figlio, e di portarlo sin dal concepimento. Ella infatti ricorda bene i particolari di tempo e di luogo (le “coordinate storiche”) di quel giorno fecondo in cui il Creatore, a sua insaputa, decideva di rinnovare e completare quello che mancava, in lei, all’incarnazione del suo Figlio divino (cfr Col 1,24).

Sì, poiché ogni figlio dell’uomo rinnova nel mondo la speranza della salvezza di Dio, che il Signore Gesù Cristo ha donato all’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Osserva mons. Ravasi: “Raccogliendo l’eco dell’antica profezia, il Battista punta il suo indice sul senso che la storia sta ora prendendo. Una strada rettilinea sta per essere tracciata sopra i baratri dell’assurdo e i monti dell’orgoglio e dell’idolatria. E questa strada conduce alla salvezza offerta da Dio in Gesù. Infatti Luca, diversamente da Mc e Mt, che si limitano a citare il profeta Isaia in modo incompleto, continua aggiungendo anche l’ultima frase: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Gli occhi di tutti si apriranno e potranno, sotto il vecchio ed immenso fluire del tempo, intuire la mano di Dio che opera e salva”.

E’ il grido gioioso che ascoltiamo oggi anche dal profeta Baruc: “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre.(…) Sorgi, o Gerusalemme, sta in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.(…) Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. (…) Poiché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da Lui” (Baruc 5,1-9).

All’Angelus della scorsa Domenica papa Benedetto ha lanciato lo stesso messaggio di fiducia e di speranza: “Il mondo contemporaneo ha bisogno soprattutto di speranza: ne hanno bisogno i popoli in via di sviluppo, ma anche quelli economicamente più evoluti.(…)La Vergine Maria incarna pienamente l’umanità che vive nella speranza basata sulla fede nel Dio vivente. Lei è la Vergine dell’Avvento: è ben piantata nel presente, nell’“oggi” della salvezza; nel suo cuore raccoglie tutte le promesse passate; ed è protesa al compimento futuro”.

Sì, la speranza di cui ha bisogno ogni uomo al mondo è Maria. Maria è la nostra speranza, poichè è la Madre che, in Gesù, porta in sé ogni uomo. Perciò, come per il bambino nel grembo la speranza della propria vita fisica è la mamma, così e molto di più la speranza della vittoria della vita è la Madonna.

Anche Paolo, oggi, invita a questa incrollabile fiduci
a. Ai Filippesi dice: “Sono persuaso che Colui che ha iniziato in voi questa opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6). Paolo afferma anzitutto che l’opera buona dell’annuncio missionario del Vangelo è stata iniziativa di Dio: e ciò che Dio ha iniziato lo porterà certamente a compimento. Non è difficile capire dove l’apostolo ci fa arrivare.

La creazione del mondo è opera buona di Dio. Il libro della Genesi rivela che Egli ogni volta, contemplato quanto aveva fatto, “vide che era cosa buona” (Gen 1,10.12.18.25). Ma dopo aver creato l’uomo, Dio lo guarda, si compiace e pensa tra Sé che “era cosa molto buona” (Gen 1,31); “molto”, cioè incomparabilmente buona, tanto quanto è superiore la dignità umana rispetto alle creature che non hanno l’anima immortale. Ora, ciò che Dio contempla non è un Adamo “alla Michelangelo”, ma l’essere umano nell’istante del concepimento, perché è qui e così che ha origine il genere umano fatto a sua immagine e somiglianza (Gen 1,27).

Scriveva ventitré anni fa Benedetto XVI: “La vita umana sta sotto la particolare protezione di Dio, perché ogni uomo – povero o elevato che sia, malato, sofferente, inutile o importante, nato o non nato, inguaribilmente infermo o sprizzante salute ed energia – è una sua immagine, porta in sé il suo alito. Questo è il motivo più profondo dell’inviolabilità della dignità umana e su questo poggia, in fondo, ogni civiltà. Dove l’uomo non viene più considerato come colui che sta sotto la protezione di Dio e non viene più visto come colui che porta in sé l’alito di Dio, lì hanno inizio le riflessioni che lo valutano secondo il suo valore utilitaristico. Lì comincia la barbarie che ne calpesta la dignità”(J. Ratzinger, “Creazione e peccato”, cap. III).

Torniamo al Vangelo:“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie spianate” (Lc 3,4-5). La voce di Giovanni il Battista è voce di uno che grida nel deserto, perciò è un grido silenzioso. Oggi, 6 dicembre 2009, questo grido inascoltato è anzitutto il grido del bambino non ancora nato che chiede accoglienza: ai suoi genitori, alla società, al Parlamento (perchè riconosca la piena capacità giuridica al concepito), alla coscienza del mondo intero.

Voce debolissima, fragile quanto la sua esistenza fisica, ma “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1,27-28).

Il concepito è la “ruspa” di Dio per abbassare i monti dell’orgoglio e i colli dell’autosufficienza, per raddrizzare i sentieri tortuosi della menzogna e dell’ideologia, per riempire i burroni dell’egoismo con l’amore accogliente, per colmare con la misericordia del perdono divino le voragini del peccato contro la vita.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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