Avvento: il Germoglio che converte alla vita

II Domenica di Avvento, 5 dicembre 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 3 dicembre 2010 (ZENIT.org).-<i>“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. (…) Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà” (Is 11,1-10).

In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. (…) Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non da buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,1-12).

La prima parola di questa II Domenica d’Avvento ci fa saltare l’inverno e ci trasporta in Galilea: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..” (Is 11,1). Iesse è uno degli anziani benestanti di Betlemme, padre di quel re Davide da cui discende il “figlio di Davide” per eccellenza, Gesù, Figlio di Dio, figlio di Giuseppe, generato da Maria di Nazaret. Il profeta Isaia paragona il capostipite Iesse al ceppo senza vita di un tronco che emerge in terra arida da radici ormai morte, simbolo dei peccati e delle infedeltà perpetuate dalla dinastia regale davidica.

Possiamo paragonare questo triste ceppo a un grembo irrimediabilmente sterile. Ma ecco l’impossibile evento, il miracolo: da questo tronco morto spunta un granello verde, un minuscolo germoglio, un virgulto assolutamente inatteso. Pieno di vitalità com’è, il germoglio-virgulto cresce e diventa un fresco ramoscello, agitato dalla brezza del vento-spirito (in ebraico è la stessa parola).

La miniparabola di Isaia agli Israeliti (come già in 6,13), non vuole alimentare solo la speranza terrena di un nuovo sovrano in grado di assicurare al paese la giustizia e la pace, ma rappresenta il lieto e lontano annuncio dell’Emmanuele (Is 7,14), il Dio-con-noi che lo Spirito Santo concepirà secoli dopo nel grembo verginale di Maria.

L’Avvento, nella misteriosa contemporaneità operata dalla liturgia, celebra il compimento di queste Scritture, oggi vigorosamente annunciato da Giovanni il Battista, precursore del Messia promesso.

La debolezza e fragilità di questo germoglio non deve ingannare nessuno: il vento che lo muove non è una semplice brezza, ma l’energia divina dello stesso Spirito Santo che lo ha generato, forza invincibile ed inesorabile come la scure che abbatte gli alberi (Mt 3,10). Egli però, non è il Dio contro di noi, ma “con noi”, destinato a sbaragliare i suoi nemici con la mitezza e con l’amore, per mezzo dell’offerta di se stesso quale vittima di espiazione per i peccati di tutti. Risorto dai morti, egli libererà ogni uomo dalla schiavitù del Male donandogli la libertà di compiere sempre il bene per mezzo dei doni del suo Spirito: “sapienza e intelligenza, consiglio e fortezza, conoscenza, pietà e timore del Signore” (Is 11,2). Sono questi i sette volti di quel divino Amore la cui tenerezza, intensità e totalità può essere paragonata all’amore materno, come spesso si legge nei profeti biblici.

Proprio la comparsa in mezzo a noi di questo mirabile germoglio è rivelazione e culmine di un simile Amore, cantato in eterno dalle schiere degli angeli e dei santi. Eccone uno splendido esempio: “Vidi con assoluta sicurezza… che Dio prima ancora di crearci ci ha amati, di un amore che non è mai venuto meno, né mai svanirà. Ed in questo amore egli ha fatto tutte le sue opere, e in questo amore egli ha fatto in modo che tutte le cose risultino utili per noi, e in questo amore la nostra vita dura per sempre…In questo amore noi abbiamo il nostro principio, e tutto questo noi lo vedremo in Dio senza fine” (santa Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, cap. 86, p. 320).

Lasciamo ora il contesto storico cui si riferisce Isaia e veniamo al nostro tempo, cercando di attualizzare il messaggio di speranza del suo meraviglioso germoglio.

Poniamoci anzitutto la domanda: a cosa fa pensare la comparsa di questa esuberanza di vita sul ceppo morto? Conosciamo la risposta messianica, ma non ci accontentiamo della teologia. In verità il simbolo è più eloquente oggi di duemila anni fa.

Il ceppo sterile e senza vita ben rappresenta, infatti, l’attuale, tragica, cultura della morte, di cui è emblematicamente e principalmente vittima proprio quel germoglio di vita umana dal cui rispetto e dalla cui accoglienza dipende la salvezza e la pace dell’intera umanità, efficacemente rappresentata dalla riconciliazione paradisiaca degli animali feroci dipinta da Isaia.

Sulla verità umana e divina del germoglio umano ci ha sapientemente ammaestrato Benedetto XVI durante la “Veglia per la vita nascente” celebrata nella Basilica Vaticana il 27 novembre scorso: “Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana. soggetto capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto e amore. Così è stato Gesù nel grembo di Maria; così è stato per ognuno di noi, nel grembo della madre. L’incarnazione del Signore e l’inizio della vita umana, infatti, sono intimamente connessi. La prima rivela che ogni vita umana ha una dignità incomparabile, a cui è legata la grande responsabilità che abbiamo verso tutti”.

Isaia e Benedetto ci orientano così a quella fondamentale “questione antropologica” che, se ha come presupposto ragionevole il riconoscimento della dignità intangibile e del valore assoluto del germoglio umano sin dal concepimento, nondimeno, in definitiva, rimanda ad un’altra e più profonda questione, quella della conversione dei cuori alla verità della vita che è Cristo.

La meravigliosa riconciliazione degli animali feroci descritta dal profeta Isaia, sta allora ad indicare il dono della pace e della gioia che Dio vuol fare al mondo intero proprio per mezzo del più debole ed indifeso degli uomini, del più dimenticato e perseguitato tra i martiri dell’odio e della violenza, il germoglio figlio dell’uomo che rinnova, ad ogni suo concepimento, il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicin
o a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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