"Audi, filia"

Il capolavoro di San Giovanni d’Avila edito da Ares

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ROMA, domenica, 7 ottobre 2012 (ZENIT.org). – È la prima edizione italiana moderna di un classico della spiritualità del Cinquecento (la precedente traduzione risale al 1769). L’autore, semplice sacerdote diocesano, consigliere di santa Teresa d’Avila, di sant’Ignazio di Loyola, di san Pietro d’Alcantara, incorse nei rigori dell’Inquisizione per la prima edizione di quest’opera, pubblicata a sua insaputa nel 1556. Ripubblicata nel 1574 nell’edizione emendata dall’autore, a cinque anni dalla sua morte, Audi, filia (che prende il titolo dal Salmo 45, 11-12, «Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio…») raccoglie i consigli spirituali rivolti alla giovanissima discepola Sancha Carrillo. È un trattato di ascetica cristiana, su come resistere alle tentazioni, sulla vita di orazione, sull’umiltà e sull’identificazione con Cristo, che attraversa intatto i secoli con la forza della dottrina e dell’esperienza vissuta.

San Giovanni d’Avila (1500-1569), inviato all’università di Salamanca per studiare diritto, non si sentì portato per tale genere di studi e, tornato a casa, trascorse tre anni in preghiera e penitenza. Un francescano gli consigliò di studiare filosofia e teologia, come fece presso Alcalà tra il 1520 ed il 1526, sotto la guida di Domenico de Soto. Nel frattempo rimase orfano e, ordinato sacerdote nel 1525, devolvette ai poveri gran parte della sua eredità. Ottimo predicatore, avrebbe desiderato partire missionario per il Messico, ma l’arcivescovo di Siviglia lo trattenne in patria per predicare in Andalusia. Diventato famoso in tutta la Spagna come predicatore e direttore di anime, riorganizzò l’Università di Granada e fondò l’Università di Baeza. Il suo biografo è fra Luis de Granada, di cui le Edizioni Ares hanno pubblicato, in questa stessa collana, la Guida dei peccatori e Il libro dell’orazione e della meditazione. Beatificato da Leone XIII nel 1894, Giovanni d’Avila è stato proclamato santo da Paolo VI nel 1970.

In occasione dell’uscita nelle librerie e della proclamazione oggi di San Giovanni d’Avila come Dottore della Chiesa, riprendiamo la prefazione al volume, firmata da Don Gianpaolo Colò.

***

Non so perché sento tanta resistenza a scrivere una prefazione: forse è perché in tutta la mia vita di accanito lettore ho sempre accuratamente evitato di leggere le prefazioni o quando, raramente, ne ho letta una, mi è sembrata uno scritto di circostanza che non mi ha aiutato molto a prendere interesse alla lettura del libro. Dato che però si deve fare, mia essendo la responsabilità di aver consigliato la traduzione italiana di quest’opera, sarò breve e, soprattutto, cercherò di motivare il lettore a trarne tutto il frutto possibile.

Il primo quesito, a cui vorrei rispondere, è: perché leggere un libro scritto da un autore, sia pur santo, del 1.500?

La risposta che inizialmente mi sono dato è stata questa. È un libro che ha aiutato tante generazioni; è un libro di cui consigliava la lettura san Josemaría Escrivá che ho personalmente conosciuto e a cui debbo tanto nella mia vita personale. Egli scriveva in Cammino, n. 116: «Non tralasciare la lettura spirituale. La lettura ha fatto molti santi». Dopo cinquant’anni di esperienza, mia e di altri, posso testimoniare la verità di questa affermazione. Ma se questo può valere per me, per chi prenderà in mano questo libro sarà sufficiente?

Cercando, quindi, motivi pratici che possano incoraggiare, anche chi si accosta a queste pagine, senza ragioni personali importanti, ho trovato ragioni davvero interessanti.

San Giovanni d’Ávila, canonizzato nel 1970 da Paolo VI, è da lui indicato come un santo che ha saputo incarnare e vivere le esigenze di rinnovamento della Chiesa, dopo la grande crisi della Riforma, nello spirito del Concilio di Trento e del grande movimento della Riforma cattolica.

Con un’azione pastorale a largo raggio, ha favorito la santità di sacerdoti e laici, ha promosso importanti iniziative educative a favore della gioventù, ha svolto un intenso lavoro di direzione spirituale con persone di tutte le condizioni, sia direttamente sia attraverso un imponente epistolario. Basta leggere qualche suo sermone o qualche sua lettera per restare conquistati dalla sua saggezza e dalla sua incisività. Il clero spagnolo nel 1969, anniversario della sua morte, ha pensato di chiedere alla S. Sede di farne il protettore dei sacerdoti del Paese, nonostante la distanza di tanti anni.

La sorpresa maggiore e il dato più convincente è stato scoprire che il sacerdote Giovanni d’Ávila, autore di una prima edizione dell’Audi, filia, incorso nei rigori della censura dell’Inquisizione, come sospetto di aver ceduto alla tentazione di scrivere un’opera di spiritualità troppo – diremmo con linguaggio moderno – soggettivista e intimista, non ha esitato a rivedere la sua opera, con piena docilità alle indicazioni dell’allora recente Concilio tridentino. Di fatto, l’edizione definitiva dell’Audi, filia, qui tradotta, rivela un solido impianto dottrinale ispirato agli insegnamenti del quel Concilio, specie se paragonata con la prima edizione.

Ricerca della santità, felicemente raggiunta, profonda e docile preparazione dottrinale, attenta alle indicazioni del magistero conciliare, vasta azione pastorale, interesse per la formazione culturale, specialmente della gioventù, promozione della santità sacerdotale sono tutti messaggi di estrema attualità e utilità per sacerdoti e laici della Chiesa del nostro tempo.

Il programma della Chiesa del terzo millennio, formulato da Giovanni Paolo II, mette infatti la santità, la vita di preghiera, la comunione ecclesiale come obiettivi prioritari per rendere possibile la missione apostolica di sacerdoti e laici, nel mondo globalizzato, non ancora cristiano o da ricristianizzare.

Per far questo è necessario trarre il massimo frutto dalla perenne tradizione della Chiesa, soprattutto se trasmessa dall’esempio della vita e della parola dei santi, che questa tradizione hanno incarnato e vissuto, con fedeltà al Magistero della Chiesa e alle ispirazioni dello Spirito Santo.

Il Concilio Vaticano II, ancora recente e portatore di una magnifica ventata di gioventù nella Chiesa è però ancora lontano dall’aver prodotto in modo capillare i frutti pastorali che si propone. C’è ancora tanto bisogno che ognuno di noi, figlio di Dio, nella sua Chiesa, si decida personalmente a lottare per essere santo, assumendosi la responsabilità di ascoltare la voce di Dio nel suo cuore e di rispondervi con una generosa adesione personale. La chiamata di Dio ci è rivolta in Cristo, che vive nella Chiesa e che ci si propone come modello e come fonte di forza perché ognuno di noi è un altro Cristo, lo stesso Cristo, nella famiglia, nel lavoro, nella società, nel servizio del prossimo così da rendere attraente e agevole il cammino di tutti verso la casa del Padre.

Il messaggio del Concilio ha bisogno di santi che rispondano in modo naturale alla chiamata universale alla santità nel terzo millennio, senza lasciarsi trascinare dalle derive di una religione «fai da te», di un soggettivismo e di un relativismo morali dagli effetti perniciosi e senza lasciarsi condizionare da un consumismo e da un edonismo che possono invadere e inquinare anche la sfera religiosa.

La valorizzazione della persona nella sua individualità, il superamento di spiritualismi disincarnati che svalutavano o demonizzavano la sensibilità e la corporeità, la promozione di un atteggiamento positivo verso tutte le realtà terrene nobili, non deve far dimenticare la realtà del peccato, la necessità della lotta interiore. Solo la scienza della Croce, conosciuta e applicata con coraggio nella vita quotidiana, purifica e permette di accostarsi c
on rettitudine di cuore alle realtà terrene senza trasformarle in idoli che distolgono dall’amore di Dio e dei fratelli. Solo dalla Croce di Cristo nascono e crescono i figli di Dio, la cui manifestazione è attesa con ansia dalle cose sottomesse alla vanità del peccato, dell’egoismo e di tutte le frivolezze e pazzie, conseguenza del peccato.

Alcune pagine di san Giovanni d’Ávila andranno certo lette nella luce di un nuovo ottimismo, rispetto al mondo e alla carne, che però non deve cadere nell’ingenuità di dimenticare il demonio e le insidie che un mondo e una carne, che si lascino dominare dalla superbia declinata nelle sue svariate incarnazioni, possono creare.

Saper fondere le nuove scoperte che lo Spirito Santo ispira alla sua Chiesa, con la tradizione sempre viva e attuale rappresentata dai santi è una sfida che il cristiano di oggi deve cogliere, senza pensare che rinnovarsi e rispondere alle esigenze di una nuova e diversa epoca storica significhi rompere con le verità vissute e acquisite da coloro che lo hanno preceduto.

Anche chi è alla ricerca della fede nella confusione di idee e di maestri del pluralismo culturale attuale non potrà che rallegrarsi di incontrare una dottrina spirituale cristiana, ben ancorata nella tradizione e capace di produrre frutti attraverso i secoli.

È dunque nella certezza di incontrare un valido aiuto per il proprio progresso spirituale sia nella ricerca che nell’approfondimento del rapporto personale con Dio in Cristo e nella sua Chiesa che appare proponibile la lettura di questo classico della spiritualità cristiana. Accostarvisi solo con un interesse di archeologia culturale sarebbe un fatto ben riduttivo e scarsamente utile al lettore. Chi, invece, cerca di essere miglior cristiano o ha sete di ascoltare la voce di Dio, vi troverà un utile e collaudato aiuto e certo anche l’intercessione di un santo.

Con questo augurio e con l’assicurazione delle mie preghiere per il lettore che avrà la pazienza di leggere fino in fondo la mia fatica, la concludo e chiedo a san Giovanni d’Ávila di saper essere, come lui, una buona guida di anime all’ascolto della voce di Dio.

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ZENIT Staff

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