Appello della Conferenza Episcopale della Basilicata per salvare le vittime dei rapimenti in Nigeria

Cresce il livello della tensione in tutto il Paese in vista delle elezioni presidenziali e politiche del 2007

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ROMA, giovedì, 11 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Il 4 gennaio scorso la Conferenza Episcopale della Basilicata ha lanciato un appello rivolto ai ribelli nigeriani che dal 7 dicembre del 2006 tengono in ostaggio tre tecnici italiani rapiti nel sud della Nigeria insieme a un loro collega libanese.

Nel testo del messaggio inviato a ZENIT si fa “appello al senso di umanità degli stessi ribelli del Movimento di emancipazione del delta del Niger perché restituiscano incolumi all’affetto dei loro cari Cosma Russo, Roberto Dieghi, Francesco Arena e Imad Abed, in Nigeria solo per ragioni di lavoro, estranei alle vicende politiche del paese ospite ed ormai fortemente provati, dopo quasi un mese di prigionia, nel fisico e nell’animo”.

Esprimendo solidarietà alle famiglie affinché i loro congiunti tornino al più presto in libertà, i Vescovi della Basilicata hanno chiesto “alle comunità cristiane della regione una giornata di solidarietà nella preghiera, il 6 Gennaio, Epifania del Signore, “giornata del dono”, affinché l’unico Dio di tutti gli uomini tocchi il cuore dei sequestratori e doni pace e serenità alle famiglie degli ostaggi così duramente colpite”.

Sulla natura di tali rapimenti e il contesto nel quale si collocano, ZENIT ha ascoltato la professoressa Anna Bono, ricercatore confermato in Storia e Istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Sociali e la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, autrice di numerosissimi saggi, articoli e studi sull’Africa.

La professoressa Bono ha spiegato che: “I tre dipendenti italiani del settore petrolifero e il loro collega libanese sono stati rapiti dal Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger, Mend, un gruppo armato che sostiene di lottare per i diritti violati degli Ijaw, l’etnia maggioritaria nel Bayelsa, uno degli stati meridionali della federazione nigeriana situati della regione del Delta del Niger dove si concentrano i giacimenti di petrolio del paese”.

“In realtà il Mend – ha continuato la docente –, così come gli altri gruppi armati della regione, a loro volta espressione di altrettante etnie, è un insieme eterogeneo di componenti: in parte comuni delinquenti, che dai sequestri intendono semplicemente ricavare denaro per vivere e armarsi, in parte militanti politici che protestano perché il grosso dei proventi dell’industria estrattiva prende la via del governo centrale della federazione lasciando privi di tutto gli abitanti del Delta”.

Secondo la Bono, “nel gruppo che ha rapito i nostri connazionali sembra prevalere questa seconda componente dal momento che i miliziani Mend hanno posto come condizione per la loro liberazione il rilascio di alcuni politici Ijaw ora in carcere, tra cui l’ex-governatore del Bayelsa arrestato mesi or sono con l’accusa di corruzione, e di Asari Dokubo, leader di un altro movimento armato, il Niger Delta Peoples Volunteer”.

“Vogliono inoltre l’assicurazione che, alle elezioni presidenziali e politiche del 2007, i candidati alla carica di governatore del Bayelsa siano originari della regione, a garanzia di un sincero impegno in favore delle popolazioni locali”, ha sottolineato la docente.

Alla domanda su quali potrebbero essere gli sviluppi della vicenda, l’esperta di questioni africane ha detto: “Purtroppo proprio l’approssimarsi degli appuntamenti elettorali sta alzando il livello della tensione in tutto il paese e questo non rassicura sulla sorte dei nostri connazionali”.

Ad aprile i nigeriani saranno infatti chiamati alle urne per scegliere il nuovo Presidente della federazione e i Governatori dei 36 Stati che la compongono. Olusegun Obasanjo, l’attuale Presidente nativo del sud, di etnia Yoruba e di religione cristiana, non ha ottenuto la richiesta modifica costituzionale che gli avrebbe permesso di concorrere a un terzo mandato (la Costituzione ne concede solo due a persona) e quindi è escluso dalla competizione.

A tal proposito, la professoressa Bono ha spiegato che il conseguente conflitto all’interno del partito di Olusegun Obasanjo, il Partito democratico popolare, per la scelta dei candidati a succedergli, “può favorire il nord, popolato da etnie tradizionalmente dedite alla pastorizia e di fede islamica, da sempre in conflitto con il sud agricolo, di religione cristiana e animista”.

“Gli islamici aspirano a un Presidente che li rappresenti e nei 12 Stati in cui è stata adottata la shari’a, la legge coranica, i più ortodossi lottano anche per assicurare una continuità ai governi integralisti affermatisi a partire dal 1999”, ha commentato ancora a ZENIT.

Per la docente “in tutta la Nigeria, non solo nel sud, si assisterà sicuramente a un crescendo di violenza, almeno fino alla conclusione del processo elettorale. Scontri cruenti si sono già verificati negli Stati in cui è stato chiesto l’impeachment dei Governatori denunciati per corruzione, particolarmente gravi in quello sud occidentale di Ikiti e in quello settentrionale di Plateau; e nel Benue, un altro Stato settentrionale, gli scontri tra i sostenitori dei candidati, in occasione delle primarie per le elezioni parlamentari che si terranno a giugno, si sono conclusi con un morto e numerosi feriti”.

Circa le voci che l’attacco fosse diretto in particolare contro le ditte italiane, la professoressa Bono ha affermato di ritenere che “la scelta degli impianti e del personale Agip dipenda più che altro da fattori logistici e difatti l’azienda italiana non è certo l’unica a essere minacciata”.

“Nell’ultimo anno gli attentati, le aggressioni e i sequestri si sono moltiplicati costringendo più volte le aziende petrolifere prese di mira a consistenti cali di produzione: Chevron, Total, Shell… nessuna compagnia è al sicuro”, ha aggiunto.

“Il 5 gennaio, sempre nella regione del Delta del Niger, sono stati rapiti anche cinque lavoratori cinesi del settore delle telecomunicazioni che stavano riparando una linea elettrica nello Stato di River; e il 10 gennaio è toccato a nove coreani e un nigeriano, rapiti mentre lavoravano in una base della compagnia sudcoreana Daewood”, ha ricordato.

“Nel primo caso sembra che i sequestratori si siano limitati a chiedere un riscatto e questo probabilmente renderà più semplici e veloci le trattative già avviate dal governo cinese, mentre l’ultimo rapimento non è ancora stato rivendicato”, ha quindi osservato.

In conclusione la docente dell’Università di Torino ha ricordato che di fronte all’aggravarsi della conflittualità, lo scorso settembre, al termine della loro Assemblea Plenaria, i Vescovi della Conferenza episcopale nigeriana hanno diffuso una nota rivolta a tutti i connazionali e in particolare ai politici.

Nell’appello, ha spiegato la professoressa, “si sollecita un impegno leale affinché la Nigeria finalmente, in occasione delle prossime elezioni, possa voltare pagina e lasciarsi davvero alle spalle i lunghi anni di corruzione e violenza che non ne hanno permesso lo sviluppo economico e sociale benché sia il primo produttore di petrolio dell’Africa subsahariana”.

“La democrazia cresce solo in un clima di pace e sicurezza”, hanno affermato i Vescovi nella nota.

“Il problema è che ben pochi in Nigeria sembrano apprezzare le istituzioni democratiche se non come strumenti di accesso alle enormi risorse naturali del Paese”, ha commentato infine Anna Bono.

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ZENIT Staff

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