Appelli per la pace e la sicurezza dopo la ripresa degli scontri nel Nord Kivu, in Congo

KANYABAYONGA/CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 20 dicembre 2004 (ZENIT.org).- Le autorità di Kinshasa accusano i soldati rwandesi di combattere a fianco di truppe insubordinate dell’esercito congolese nella zona di Kanyabayonga, nel Nord Kivu, ad Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove da giorni si susseguono violenze tra soldati regolari ed ex-ribelli ora reintegrati nelle forze armate congolesi.

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Le tensioni fanno seguito alle dichiarazioni rilasciate alcune settimane fa dal presidente del Rwanda, Paul Kagame, il quale aveva minacciato di invadere il Congo – come già accaduto nel 1998 – per dare la caccia alle milizie Interahamwe e agli ex-soldati rwandesi (Far) – entrambi considerati responsabili dei massacri del 1994 – che dai loro campi-base nelle foreste congolesi stavano preparando nuovi attacchi contro il Rwanda.

Secondo il governo congolese di transizione, insediato a Kinshasa, da più di un anno, si prevede una guerra contro il Rwanda. Prospettiva disastrosa quest’ultima, alla luce anche dei calcoli fatti dall’International Rescue Commitee, secondo cui oltre 3.800.000 sarebbero le persone morte in Congo negli ultimi sei anni di guerra.

Il vescovo di Butembo-Beni (Est della RDC) monsignor Melchisedec Sikuli Paluku, in un’intervista rilasciata al notiziario della “Fondazione Monsignor Emmanuel Kataliko”, FOMEKA.NET , ha lanciato un appello per far cessare immediatamente gli scontri e ridare sicurezza e stabilità alla popolazione.

Monsignor Sikuli, ha raccontato che: “Nella parte meridionale della diocesi di Butembo-Beni, che comprende la martoriata città di Kanyabayonga, vi sono non meno di 30mila nuovi profughi privi di una qualsiasi assistenza mentre si è nel pieno della stagione delle grandi piogge”.

Secondo quanto riferito dall’agenzia MISNA , un funzionario dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) in Nord Kivu avrebbe affermato questo lunedì che il numero di sfollati nella zona si aggirerebbe fra i 100.000 e i 200.000.

Augustin Njewa, capo dell’amministrazione territoriale di Lubero, principale centro abitato della zona intorno a Kanyabayonga, ha raffermato sempre a MISNA che sono “circa 150.000 i civili che hanno lasciato le loro case e tutti i villaggi che sorgono lungo la strada che collega Kanyabayonga con Lubero per ripararsi temporaneamente nella ‘brousse’ (la boscaglia)”.

Monsignor Sikuli ha aggiunto che “la popolazione civile in fuga si è diretta in larga parte verso Kirumba e Kayna” e che “nessun nuovo profugo ha per ora raggiunto Butembo ma gli scontri armati e le piogge rendono molto difficile il loro cammino”.

“Nella città di Kanyabayonga, situata a circa 160 chilometri a sud di Butembo, e considerata una delle città martiri dell’ex-Zaire, i combattimenti iniziati nelle aree rurali hanno raggiunto il centro urbano”, ha continuato poi.

Il presule ha spiegato che “molti dei circa 35mila abitanti di Kanyabayonga erano già ‘abituati’ a trascorrere la maggior parte delle notti nella boscaglia per paura di violenze e aggressioni” e che “certamente saranno stati saccheggiati, per l’ennesima volta, anche la parrocchia, il convento delle suore e il dipensario con annesso ambulatorio per la maternità”.

Alla domanda su come si vive la situazione a Butembo, Sikuli ha risposto che “sono giunti a Butembo circa 50 militari congolesi feriti in combattimento e sono stati ricoverati nell’ospedale diocesano di Matanda per essere operati”.

“La popolazione sa degli scontri e vede l’arrivo dei feriti. La speranza riposta nella transizione, che nel 2005 dovrebbe sfociare in libere elezioni, si va inevitabilmente indebolendo e le persone sono sempre più avvilite”.

“Le stesse truppe governative dislocate in questa parte della provincia del Nord Kivu non sono sinora riuscite ad inspirare la giusta fiducia nella gente perché male equipaggiate ed evidentemente poco formate, dato che vi sono stati casi di molestie nei confronti di civili”, ha continuato.

“Fra le conseguenze di quanto accade si possono includere i due suicidi registrati a Butembo nei giorni scorsi. Tali fatti, per quanto accaduti in tempi e luoghi diversi, costituiscono un dato tragicamente eccezionale se si considera che nel Kivu il suicidio è un evento assai raro”, ha quindi commentato.

Secondo quanto riferito da alcune fonti dell’agenzia “Fides”: “Ieri, 19 dicembre, vi sono stati scontri molto duri nei pressi della località di Ishasha, al confine con l’Uganda. Qui, i guerriglieri Mai Mai che appoggiano il governo congolese, avrebbero inflitto pesanti perdite ai militari rwandesi”.

“I rwandesi – si legge poi –, per vendetta, avrebbero fatto ritorsioni contro i civili di un villaggio vicino. Diverse persone sono scomparse, inghiottite nel nulla”.

Secondo quanto riferisce ancora la stessa agenzia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ieri 2 camion pieni di cadaveri – molto probabilmente dei soldati rwandesi uccisi nei combattimenti – sono transitati per le strade di Goma, capoluogo del Nord Kivu, diretti verso il Rwanda.

Le fonti di “Fides” raccontano ancora che in città si è venuto a creare un pesante “clima di terrore” poiché “di notte, squadroni della morte entrano nelle case e fanno sparire i leader studenteschi e i rappresentanti della società civile che lottano per un Congo libero e pacifico”.

Il presidente della Conferenza episcopale congolese e arcivescovo di Kisangani, monsignor Laurent Pasinya Monsengwo, in un messaggio in lingua francese apparso su FOMEKA.NET , ha detto: “Condanniamo tutte le violenze” in corso, “riaffermiamo con forza che l’integrità territoriale e la sovranità nazionale non possono essere negoziate”, e “diciamo no alla balcanizzazione del nostro Paese”.

Di fronte alla “nuova grave crisi umanitaria” innescata dalla ripresa dei combattimenti monsignor Monsengwo ha affermato che: “Questa situazione diventa ancora più scandalosa e preoccupante perché si verifica a qualche settimana dalla firma solenne dell’accordo di Dar-es-Salaam, in cui i capi di Stato della regione dei Grandi Laghi si erano impegnati a risolvere in maniera congiunta i problemi dell’area”.

Il presule accenna agli ultimi avvenimenti, come ad una crisi in grado di compromettere “pericolosamente il processo di transizione che dovrebbe portare il popolo congolese verso le elezioni”, constatando come “forze visibili e invisibili cercano di fermare la sua marcia verso uno Stato forte e prospero”.

Nel messaggio il presidente della Conferenza episcopale congolese, rivolgendosi al “paese confinante” raccomanda di “ritirare le proprie truppe dal territorio congolese”, e di “smettere di farsi beffe del Congo e della Comunità internazionale”.

L’Arcivescovo di Kisangani si rivolge poi anche alla Comunità internazionale, alla quale chiede di “prendersi le proprie responsabilità sanzionando in maniera esemplare (embargo sulle armi, congelamento dei beni, isolamento politico e diplomatico) coloro che seminano il terrore e violano deliberatamente gli accordi internazionali che garantiscono la coesistenza pacifica tra i popoli”.

Rivolgendosi al governo di Kinshasa il presidente della Conferenza episcopale, chiama ad avvalersi dell’aiuto della Comunità internazionale, raccomandando altresì “di formare rapidamente un nuovo governo capace di gestire con competenza ed efficacia la crisi che minaccia l’integrità territoriale della RDC e che rischia di compromettere la transizione”.

Monsignor Monsengwo si rivolge infine ai congolesi chiedendo loro di “restare vigili e solidali, di bandire ogni spirito d’odio”, “di identificare coloro che cercano di bloccare la transizione e di sanzionarli quando arriverà il momento opportuno. Non cedete mai allo scoraggiamento; il Congo si risolleverà”.

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ZENIT Staff

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