Anche i musulmani condannano gli autori delle stragi nel Gujarat

La Chiesa in India deplora gli attacchi terroristici

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NUOVA DELHI, mercoledì, 30 luglio 2008 (ZENIT.org).- Con un deciso commento, l’Arcivescovo di Gandhinagar, monsignor Stanislaus Fernandes, in qualità di presidente della Conferenza Episcopale Indiana, ha espresso in un comunicato la sua condanna contro la serie di attentati dinamitardi del 26 luglio a Ahmedabad – sedici esplosioni che hanno provocato almeno 49 morti e 160 feriti – e del 25 a Bangalore, con una vittima e 7 feriti.

“Le bombe di Ahmedabad e di Bangalore sono un attacco all’armonia sociale dell’intera India, portato da pochi fanatici che causano morte e devastazione”, ha dichiarato il presule secondo quanto riporta “L’Osservatore Romano”. 

Ingenti forze di polizia e dell’esercito presidiano da giorni le strade e le piazze delle due città indiane, che in passato sono già state teatro di scontri tra gruppi di estremisti islamici e induisti. Molti abitanti sono ancora impauriti, e temendo ulteriori attentati restano chiusi in casa anche durante il giorno uscendo solo per motivi indispensabili. 

“La Chiesa cattolica indiana condanna nel modo più forte possibile questa violenza senza senso – ha dichiarato l’Arcivescovo Fernandes a un corrispondente di AsiaNews -. Ha subito messo a disposizione i propri presidi medici per le vittime”.

Il presule ha aggiunto che “questi attentati odiosi vogliono dividere la Nazione e provocare nella popolazione un senso di insicurezza e di paura. Ma abbiamo visto persone di ogni comunità correre subito ad aiutare le vittime, senza distinzione, con una solidarietà umana che ha prevalso sul tentativo di seminare il panico”. 

Di fronte alla ferocia dei terroristi e al dolore per le vittime innocenti, il presule non esita a esprimere la sua speranza cristiana: “Anch’io sono molto preoccupato per queste esplosioni e ho timore che ci possano essere rappresaglie, ma ho anche la speranza che l’amato popolo della nostra India sia unito nella tragedia e ci si aiuti reciprocamente senza distinzione di casta o di religione, senza lasciar prevalere il tentativo di creare divisioni”.

Nel 2002, la città di Ahmedabad e la regione del Gujarat sono state investite da ondate di diffuse violenze religiose tra fanatici musulmani e induisti, che hanno provocato migliaia di vittime soprattutto tra i musulmani. 

Dopo ripetute minacce di vendetta, gli attentati recenti sono stati rivendicati dal poco conosciuto gruppo estremista islamico Indian Mijahideen con un messaggio inviato con pochi minuti di anticipo rispetto alla prima esplosione. Nel testo trasmesso, gli estremisti affermavano di voler vendicare le vittime dei massacri del 2002. Lo stesso gruppo di terroristi aveva rivendicato la serie di attentati che ha ucciso 63 persone a Jaipur nel maggio scorso.

Le ultime azioni terroristiche vengono condannate in India anche dagli organi d’informazione della comunità musulmana. 

Sul quotidiano “Urdu Times” del 28 luglio è stato pubblicato un editoriale intitolato “Gli attentati dinamitardi prendono il posto delle rivolte delle comunità”. L’autore sostiene che i terroristi mirano a dividere il Paese e le comunità etniche e religiose in esso presenti e constata che “con questi attacchi, gli Hindu vengono spinti a coltivare tutti i possibili sentimenti anti-musulmani”.

In un altro articolo dello stesso organo d’informazione, il commentatore Farooque Ansari sottolinea che “i maggiori nemici di questo Paese non sono all’estero bensì al suo interno”. L’articolo termina esortando a che “tutti gli indiani agiscano uniti per sconfiggere i tanti nemici che sono tra di noi”. 

Tutte le prime pagine dei giornali in lingua urdu (quella più diffusa tra gli indiani di fede islamica) sottolineano la notizia della fatwa emessa dallo Shabi Imam del Punjab, Maulana Habibur Rehman Ludhianvi, che ha definito gli attentati terroristici ad Ahmedabad e a Bangalore atti inumani, chiedendo per questo una punizione massima.

Nelle sue dichiarazioni, il religioso islamico afferma che “i terroristi assassini non possono definirsi musulmani. Essi sono dei mercanti di morte e per questo meritano di essere puniti”. 

Nel febbraio scorso, esperti di teologia provenienti da 6.000 diversi istituti islamici si sono riuniti al Rarul-Uloom Deoband, un’influente scuola nel nord dell’India con oltre 150 anni di tradizione, per denunciare il fenomeno del terrorismo come concettualmente “anti-islamico”.

Le recenti azioni terroristiche degli estremisti, purtroppo, suscitano un’eco “molto maggiore rispetto ai saggi ma sommessi appelli dei religiosi islamici moderati”.

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ZENIT Staff

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