"Amoris Laetitia" / ZENIT - HSM, CC BY-NC-SA

Amoris laetitia: le speranze dei separati

Il presidente dell’Associazione Famiglie Separate Cristiane commenta l’esortazione post-sinodale senza retorica. Non lesina critiche e spera che alle parole seguano finalmente i fatti

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È passata una settimana dalla pubblicazione dell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia. Dopo la concitata attesa, durata oltre cinque mesi dalla fine dell’ultimo Sinodo, e dopo anche le sensazioni a caldo, è giunto ora il tempo di assimilare il documento redatto da Papa Francesco per capire come rendere concreto quell’appello all’accoglienza che ne è il filo rosso.
Un passaggio dalla teoria alla pratica che l’ing. Ernesto Emanuele attende dal lontano 1981, data di pubblicazione di un’altra esortazione apostolica inerente i temi della famiglia, la Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II. Emanuele è amabilmente considerato “il papà dei separati”. 81enne, tre figli e una moglie con cui si è lasciato da quarant’anni, nel 1990 ha fondato l’Associazione Famiglie Separate Cristiane, di cui è presidente.
“Il richiamo a una ‘urgente sollecitudine’ nei confronti di noi separati – commenta a ZENIT Emanuele – era già presente nella Familiaris Consortio, tuttavia le cose non sono andate proprio come auspicava Papa Wojtyla…”.
E nemmeno come indicano numerosi documenti e interventi ecclesiali successivi al 1981. “Soprattutto da parte dei Papi – spiega – sono state offerte tante riflessioni eccellenti su questo tema: parole incoraggianti e dense di autentico desiderio di inclusione. A cui però non sono seguiti i fatti”.
Emanuele racconta che in 25 anni di esperienza nell’ascolto e nel supporto di persone con alle spalle un matrimonio fallito, si è confrontato con migliaia di casi. “Molto diversi tra loro – dice – eppure spesso uniti dal comune denominatore dell’esclusione da parte dei sacerdoti”.
Un’esclusione che “non riguarda tanto gli aspetti teologici o dottrinari, quanto gli aspetti più umani”. Per dirla come Papa Francesco, Emanuele rileva che “non abbiamo sentito molto ‘l’odore delle pecore’ addosso ai pastori della Chiesa”. Dalla legge sul divorzio del 1970 ad oggi, secondo l’ingegnere milanese, le autorità ecclesiali hanno assistito troppo passivamente a uno stillicidio di oltre 2 milioni di coppie che si sono lasciate.
“Perfino negando il problema”, denuncia Emanuele sulla base delle sue personali esperienze di confronto con “diversi vescovi”. Si tratta di occasioni sprecate, perché “non c’è persona più permeabile al Vangelo di chi ha appena affrontato il dramma della separazione”. Di persone non credenti che si sono avvicinate a Dio grazie all’Associazione Famiglie Separate Cristiane, Emanuele ne ha conosciute tante.
“Basta poco per dare una speranza a queste persone – afferma -, basta ascoltarle, incontrarle, dar loro una parola di conforto”. Da questi piccoli gesti può nascere poi un accompagnamento verso un cammino di fede. “Noi in 25 anni non abbiamo scritto nessun libro – continua -, in compenso abbiamo aiutato migliaia di persone, attraverso la preghiera le abbiamo portate a riattivare un rapporto con Dio, l’unico che può dare delle risposte in certi momenti di crisi”.
E se da un lato è mancato finora quest’atteggiamento di accoglienza da parte di molti preti, dall’altro Emanuele ha registrato un’eccessiva “manica larga”. Spiega che “nella diocesi di Milano – dove vive – almeno un sacerdote su due dà la comunione con disinvoltura ai separati che hanno iniziato una nuova unione”.
Un tema, questo della comunione ai divorziati risposati, che ha catalizzato le attenzioni mediatiche sui due recenti Sinodi. E che Emanuele vuole affrontare “senza la superficialità” che ha riscontrato in “molti mezzi d’informazione e anche in molti uomini di Chiesa”.
Rammenta che “nel Codice di Diritto canonico è espressamente previsto che quando una persona si separa dovrebbe recarsi dal proprio vescovo per avere dei consigli”. Indicazione che rimane però lettera morta. “In tanti ricevono l’autorizzazione del proprio parroco a fare la comunione senza problemi e vi si attengono”, afferma Emanuele.
Anziché dare facili concessioni, che sgorgano come acqua tiepida nel vissuto delle persone, l’auspicio di Emanuele è che con Amoris Laetitia si inizi a intraprendere una strada all’insegna di un caldo messaggio di “ascolto, accoglienza ed accompagnamento”. L’ingegnere ha tuttavia il cruccio di chiedersi “come si farà a creare una nuova sensibilità tra i sacerdoti” e quanti anni ci vorranno prima che diventerà effettiva quella “formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie” di cui parla il Papa.
Interrogativi a cui se ne aggiunge un altro. Quanti sono coloro che tenendo fede al Magistero decidono di vivere “come fratello e sorella”? “Pochissimi”, secondo Emanuele. Il quale condivide il passaggio di Amoris Laetitia in cui il Papa si fa interprete dell’impressione di molte coppie separate, secondo cui se tra loro “mancano alcune espressioni di intimità, ‘non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli’”.
Tuttavia Emanuele desidera che la Chiesa, oltre a concentrarsi su situazioni familiari ormai compromesse, si occupi di aiutare le coppie sposate a non lasciarsi. Appare in tal senso scettico nei confronti della riforma di Francesco per semplificare le procedure di nullità matrimoniale.
Ritiene il ricorso alla Sacra Rota “una cosa per ricchi”, che riguarda poche coppie. “Di fronte a dei figli è possibile parlare di nullità?”, si chiede Emanuele. La domanda è retorica, perché “ho conosciuto tanti figli che chiedevano loro stessi la separazione di genitori litigiosi, ma che poi inorridivano dinanzi all’ipotesi di dichiarare nullo il matrimonio”.
Ecco, il suo parere è che quando si parla di separazione, ci si occupi poco dei figli, che – commenta amaro Emanuele – “si portano le ferite della separazione dei genitori per tutta la vita”. Forse bisognerebbe iniziare dall’avere misericordia verso di loro, per dare concretezza ad Amoris Laetitia.

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Federico Cenci

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