Ambasciatore israeliano chiede al Papa di lanciare una campagna di educazione contro i pregiudizi

Intervista a Ben-Hur Oded, rappresentante presso la Santa Sede

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ROMA, domenica, 19 novembre 2006 (ZENIT.org).- Considerando che alla base dei conflitti e delle guerre c’è un abisso d’ignoranza tra le religioni e le
culture, l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Ben-Hur Oded, propone una campagna mondiale di educazione per abbattere i muri dei pregiudizi.

Ben-Hur Oded è ambasciatore presso il Vaticano dal giugno 2003. Nato in Israele nel 1951, ha intrapreso la carriera diplomatica nel 1977. È stato Ministro Plenipotenziario nel “Policy Planning Bureau” (settembre 2000-giugno 2003) e ambasciatore nei Paesi Baltici (settembre 1996-settembre 1999).

In questa intervista concessa a ZENIT, l’ambasciatore spiega la sua proposta e chiede alla Santa Sede di lanciare un appello affinché “i cristiani tornino a vivere in Medio Oriente, in particolare in Libano e nei Territori palestinesi”, perché sono “un fattore essenziale per la pace”.

Signor ambasciatore, la situazione in Terra Santa e nelle aree limitrofe ha assunto nuovi gravi risvolti. Può fornirci un aggiornamento?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Questo è un tema molto complesso, che non è possibile esaurire in poche parole. Stiamo assistendo ad un conflitto interno al popolo palestinese e altrettanto sta accadendo in Libano. Ciò che possiamo augurarci è che da questi conflitti nascano nuove vie d’uscita in direzione dei negoziati e delle trattative, anziché delle minacce degli estremisti.

Bisogna notare che nei decenni che sono seguiti alla fondazione dello Stato d’Israele nel 1948, il conflitto israelo-arabo è stato caratterizzato dall’odio degli arabi per Israele, che, secondo loro, è stato creato per pulire la coscienza dell’Europa dopo la Shoah.

A metà degli anni ‘90, tuttavia, assistiamo ad un cambiamento sostanziale con la crescita dell’integralismo islamico che ha introdotto nella nostra regione la “cultura della morte” in nome di Allah.

Sia Hamas che Hezbollah impediscono ogni tentativo di dialogo, negando l’esistenza stessa dello Stato d’Israele, e sono manifestazioni locali di un pericolo globale chiamato Islam estremista.

Mentre tanti nel mondo ritengono che il conflitto israelo-arabo sia la “madre di tutti i conflitti” e quindi, una volta risolto, il mondo si troverà già a metà strada verso la pace, la verità è ben altra. Basta costatare che l’85% degli ultimi attentati terroristici nel mondo sono stati perpetrati da estremisti islamici ai danni di Paesi e cittadini musulmani moderati (Giordania, Turchia, Tunisia, Indonesia, ecc.) proprio nel tentativo di scoraggiarli dal dialogare con l’Occidente.

La dimostrazione più preoccupante di questo pericolo crescente è rappresentata dall’Iran, che continua ad esportare l’idea della rivoluzione islamica di matrice sciita, minacciando l’esistenza di Israele, negando la Shoah, esprimendo la volontà che il mondo intero viva sotto il dominio islamico. Ritengo che ciò sia motivo di grande preoccupazione per il mondo cristiano.

È proprio tramite Hezbollah e i “buoni servizi” della Siria che l’Iran ha provocato l’ultima guerra in Libano.

Quale crede sia una possibile via d’uscita da questa situazione?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Ritengo che alla base di queste frizioni e di tutte le ostilità vi sia un abisso d’ignoranza tra le religioni e le culture, dovuto a secoli di pregiudizi, odio e guerre. L’unico modo di uscire da questo circolo vizioso, secondo il mio parere, è quello riavviare una campagna infinita di educazione e formazione per aiutare la gente di tutto il mondo ad edificare ponti di comprensione e conoscenza al fine di abbattere i muri dei pregiudizi e del distacco tra le religioni che hanno dato vita alla demonizzazione l’uno dell’altro.

Chi potrà condurre questa campagna?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Tale campagna dovrebbe avere una portata universale e basarsi su tre mezzi principali: fonti finanziarie, programmi scolastici e, ancora più importante, insegnanti adatti. Logicamente, spetta ai Governi e ai politici intraprendere questa iniziativa. Tuttavia, per la natura stessa del loro incarico, assai raramente possono impegnarsi oltre l’orizzonte dei quattro/cinque anni del loro mandato, e quindi promotori e fulcro di questa “maratona educativa” devono essere i leader delle varie religioni del mondo: essi non devono essere rieletti, hanno lungimiranza e forte motivazione. Seguendo questa logica, è indispensabile che a promuovere questa iniziativa ci sia un leader religioso di massimo livello. Nell’Islam non c’è un unico leader; il piccolo mondo ebraico, per ovvi motivi, può lasciarsi guidare ma non fare strada. Pertanto, il più adatto ad affrontare questa sfida importantissima è il Papa, soprattutto alla luce delle recenti frizioni all’interno del dialogo interreligioso.

Qual è il futuro dei Cristiani in Medio Oriente?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Trovo assolutamente necessario che la Santa Sede lanci un appello affinché i cristiani tornino a vivere in Medio Oriente, in particolare in Libano e nei Territori palestinesi. Le comunità cristiane sono sempre state un fattore essenziale per la pace. Devono assolutamente tornare a far parte integrante del tessuto sociale di quelle aree.

Le aspirazioni al dialogo interreligioso e interculturale possono avere buon esito solo se i cristiani potranno tornare a convivere consensualmente al fianco dei loro fratelli arabi musulmani. Così, ad esempio, Betlemme tornerebbe ad essere una città di pace e di coesistenza come lo era decenni addietro.

Che ruolo hanno i pellegrinaggi nello sviluppo politico e sociale dell’area?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Allo stesso modo, la Santa Sede dovrebbe rivolgere un appello al mondo cristiano ed attivare i propri Vescovi affinché incoraggino i pellegrinaggi in Terra Santa e nei Paesi confinanti.

Se solo l’un per mille dei cristiani nel mondo (ovvero, circa 1.200.000 persone) visitasse la Terra Santa ogni anno, ciò potrebbe incidere maggiormente sul conflitto israelo-arabo, capovolgendo la situazione psicologica, attirando investimenti, favorendo una ripresa economica delle industrie turistiche a sostegno del popolo palestinese, delle comunità cattoliche e di Israele, Libano, Giordania, Egitto ecc..

Indubbiamente i pellegrini devono intraprendere il ruolo di “messaggeri di pace”.

Come si stanno sviluppando i rapporti tra Israele e la Santa Sede?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Stiamo entrando nel nostro tredicesimo anno di rapporti ufficiali che in ebraico sarebbe chiamato “anno di Bar Mitzvah”, un rito tradizionale che simboleggia il passaggio da bambino ad adulto, ovvero l’assumersi responsabilità e diventare maturo. Mi auguro sia il nostro caso.

La storia millenaria degli ebrei e dei cristiani rende complesse e non facili le relazioni tra Israele e la Santa Sede e poiché le regole dell’intervista concedono uno spazio piuttosto limitato, accennerò solo due punti di rilievo per spiegare lo stato attuale dei rapporti.

Il primo è l’accordo finanziario ed economico che dovrebbe stabilire i diritti e i doveri delle Comunità cattoliche in Israele riguardo a questioni di tasse, proprietà, luoghi santi, accesso al sistema giudiziario del Paese, ecc.. Verso la fine di novembre è prevista la visita in Vaticano di una delegazione israeliana di alto livello al fine di discutere proposte atte a superare gli ostacoli rimanenti e concludere l’accordo.

Il secondo punto è la necessità di promuovere un salto di qualità nei nostri rapporti varando un vero dialogo politico. A tale scopo va pianificata un’agenda consensuale di temi e interessi comuni che verrà accompagnata dalle visite reciproche tra le massime autorità dei due Stati.

Infine, ma non per ultimo, vorrei ricordare il nos
tro auspicio che il Papa voglia visitare Israele nel corso dell’anno prossimo.

Intravede barlumi di ottimismo?

Ambasciatore Ben-Hur Oded: Io sono un ottimista per due motivi: il primo perché sono nato da genitori ottimisti, che malgrado tutte le difficoltà, assieme ai loro compagni superstiti della Shoah, sono riusciti a costruire un Paese democratico forte e moderno che si trova addirittura nella quarta fase di sviluppo nell’applicazione delle bio e nanotecnologie.

Il secondo motivo è il semplice fatto che noi in Israele non possiamo permetterci il lusso di diventare pessimisti: non possiamo chiuderci dentro a chiave e gettarla nel Mediterraneo.

Dobbiamo tendere la mano a qualsiasi disponibilità da parte degli Arabi a dialogare con noi e cercare di promuovere ogni iniziativa per la pace nella quale crediamo profondamente.

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ZENIT Staff

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