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Amare con cuore di madre

Meditazione quotidiana sulla Parola di Dio — Mc 1,40-45

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Lettura

È un incontro impossibile, secondo la legge, quello fra un lebbroso e Gesù. La lebbra, che è una malattia visibile e che deturpa il corpo, era considerata una punizione di Dio per i peccati contro la verità. Per questo, i lebbrosi venivano cancellati dal registro del tempio, considerati impuri e senza Dio. Eppure, questo lebbroso si avvicina a Gesù e si mette in ginocchio davanti a Lui.

Meditazione

Gesù, creando scandalo attorno a sé, si lascia avvicinare dal lebbroso. Perché… non è venuto a salvare se stesso, ma a cercare e a salvare ciò che era perduto. L’Evangelista illustra l’agire di Gesù con quattro verbi: ne ebbe compassione, stese la mano, lo toccò, gli disse. La prima reazione di Gesù dinanzi a quest’uomo è avere compassione, un verbo tipicamente femminile e materno. Prima di essere Parola, Dio è compassione; prima di agire e guarire, sente battere il suo cuore e ribollire le sue viscere. Perché Dio è compassione, o semplicemente non è. Ciascuno di noi è venuto al mondo grazie all’amore di una madre, quindi la nostra vocazione di uomini e donne è quello di essere “madri” e saper generare la vita negli altri attraverso il fremito del cuore, il ribollire delle viscere, quella lama d’amore che trafigge anche la nostra carne. Nessuno può essere davvero se stesso se non in questa maternità d’amore che si fa dono. Gesù ha compassione, tocca e abbraccia con la tenerezza di una madre, perché una madre non ha paura di abbracciare il suo figlio ammalato, fosse anche coperto di piaghe nauseanti. Ogni creatura per Dio è figlio e, come la madre abbraccia e serve amorevolmente i suoi figli, così Gesù è venuto a testimoniarci la compassione di Dio, il chinarsi con tenerezza di Dio verso di noi. L’Amore si è incarnato per annullare le distanze dall’umanità e restituire l’amore alla sua purezza. Superare le distanze significa trovare il coraggio, ogni giorno, di “toccare l’altro”, di fargli sentire la nostra presenza, il nostro esserci, il nostro amore. E nessuno di noi può ritenersi esente dal sentirsi amato. Gesù sa quale sarà il prezzo del suo stendere la mano; scribi e farisei sono sempre lì a giudicarlo, a cercare ogni occasione per decretare la sua morte. Ma a Gesù non importa, a Lui interessa annullare la distanza da quell’uomo, fargli superare il senso di solitudine e di emarginazione, creare un legame di vita. Non gli basta stendere la mano, lo vuole “toccare”. Quel “tocco” ha, per il lebbroso, l’ebbrezza della carezza di Dio.

Preghiera

Eccomi davanti a te, Signore, nella mia lebbra e nelle ferite del cuore. A te tremante tendo la mano per toccare la trafittura del tuo costato e attingere balsamo per le mie piaghe. E ora accarezza tu l’anima mia perché consolazione per me sia.

Agire

Oggi supererò ogni timidezza offrendo la mia mano a chi mi chiede aiuto, donando una carezza a chi soffre.

Meditazione del giorno a cura di mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta, tratta dal mensile “Messa Meditazione”, per gentile concessione diEdizioni ART. Per abbonamenti info@edizioniart.it

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ZENIT Staff

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