Allarme crisi in Slovenia

La situazione economica è peggiorata al punto che i mercati pensano che il Paese sarà il prossimo “malato” d’Europa e dovrà ricorrere agli aiuti della Troika

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Nel 2007 è toccato alla Slovenia, primo Paese post-comunista, entrare nell’Eurozona. Per diversi anni il Paese è stato considerato la “Svizzera” della Jugoslavia, ma con la crisi del debito pubblico, conseguente a quella finanziaria, la Slovenia è stata profondamente investita dalla crisi strutturale e potrebbe essere il sesto Paese (dei 17 che fanno parte dell’area euro) a chiedere aiuto alla Troika (BCE, FMI, UE).

La Slovenia è un Paese piccolo con un Pil di 36 miliardi di euro (uguale al reddito prodotto dalle Marche), ma con due milioni di abitanti e un sistema bancario in forte tensione da cui si approvvigionano anche molte imprese italiane: circa 218 (sopra i 2,5 milioni di euro di fatturato) su 6.000 aziende presenti in tutta l’area Central-East Europe (Cee). Una presenza importante che impiega circa 4.500 dipendenti (per fare un confronto illuminante, sono 486 le imprese operanti nell’estesa e più promettente Russia).

La Slovenia ha necessità di finanziamento molto più limitate: un miliardo di euro quest’anno secondo l’Fmi, contro gli oltre 8 miliardi stimati per Cipro, nonostante un’economia che è il doppio per dimensioni. Dati preoccupanti fotografano in modo eclatante la mina slovena: il Prodotto interno lordo sta viaggiando su un tendenziale -3%, il tasso di disoccupazione è balzato al 13,6%, il deficit Pil del 2012 è stato superiore al 6% e quello del 2013 si proietta oltre il 4%.

Ad aggravare la situazione, sono poi i dati del sistema bancario. Le sofferenze hanno raggiunto 6,4 miliardi, il 14,4% degli impieghi e il 18% del Pil. Nel 2012 le banche slovene hanno registrato una perdita totale di 606 milioni di euro, 67 in più del 2011.

Rispetto a Cipro, inoltre, dove il sistema bancario pesa sul Pil del 710%, in Slovenia pesa “solo” il 145% del Pil del Paese. C’è da dire anche che la Slovenia ha un rapporto tra depositi e prestiti molto più elevato, pari al 153% rispetto al 105% di Cipro.

L’analisi di questi dati mostra ancora una volta la crisi strutturale endogena ed esogena dell’Europa che abbiamo costruito. E come Italia ci deve preoccupare molto più rispetto ai riflessi della crisi di Cipro, considerando il fatto che il legame con l’economia della confinante Slovenia è decisamente superiori. Il numero di imprese italiane che negli ultimi anni ha delocalizzato le attività nel Paese più avanzato della ex Jugoslavia è in crescita, così come l’esposizione delle banche italiane verso Lubiana.

Qual’è la causa.
La Slovenia era uscita dalla Jugoslavia nel 1991. Già l’anno successivo, il Pil è cresciuto fino al 2008 ad una velocità media annua del 5,5%. Gli effetti del rapido passaggio da un’economia comunista ad una fondata sul capitalismo finanziario si notano da qualche anno, e non si tratta di una crescita sana. Difatti negli anni passati, le imprese e lo Stato hanno finanziato la crescita ricorrendo troppo ai capitali privati senza far sviluppare il risparmio privato interno.

La situazione è peggiorata con la recessione del 2012 che ha fatto esplodere le sofferenze bancarie e nell’ultima settimana, dopo lo scoppio della crisi cipriota, il quadro sta assumendo toni preoccupanti, perchè i mercati pensano che la Slovenia sia il prossimo malato d’Europa, il prossimo Paese a dover ricorrere agli aiuti della Troika Fmi-Ue-Bce. Gli investitori esteri stanno scappando. Basta vedere l’allargamento della forbice dello spread.

L’ingresso nell’euro.
La Slovenia è entrata nell’Unione europea nel 2004 e ha adottato l’euro ufficialmente dal 14 gennaio 2007. Il timing di ingresso nella moneta unica non è stato dei migliori. Il cambio tallero sloveno euro è stato fissato in 239,64 talleri = 1 euro.

Dal 2009 è scoppiata poi la crisi in Grecia e, passando per Irlanda, Portogallo, Spagna, si è giunti al caso Cipro. La crisi dell’Eurozona ha quindi colpito anche la Slovenia. Le aziende privatizzate hanno scaricato i problemi sulle banche che adesso presentano numeri da capogiro.  Più nello specifico i crediti ormai inesigibili hanno toccato quota 7 miliardi di euro. Gli istituti sloveni sanno, cioè, che prestando 100 euro, oltre 14 non verranno restituiti. Trend che li ha spinti a tirare i cordoni della borsa (credit crunch), peggiorando ulteriormente la congiuntura economica dell’ex “Svizzera dei balcani”.

I danni del capitalismo finanziario.
Molti economisti discutono se le distorsioni implicite tra le economie dell’Eurozona abbiano amplificato la crisi slovena o se questa si sarebbe creata comunque a causa dell’effetto leva del capitalismo finanziario nel processo di privatizzazioni. Resta il fatto che guardare la Slovenia a fine 2006 e guardarla oggi sembra come osservare due Paesi diversi.

Dati

Debito/Pil: 53,7%

Deficit/Pil: 4,4%

Asset bancari/Pil: 143%

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Carmine Tabarro

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