Alla riscoperta del primato dell’essere sull’avere

Secondo l’autore di “Metafisica della persona”

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di Miriam Díez i Bosch

BARCELLONA, lunedì, 12 maggio 2008 (ZENIT.org).- Secondo il filosofo Joan Martínez Porcell “viviamo in un’epoca nella quale il pensiero debole abbonda in un’apologia dell’effimero”, in cui l’avere è più importante dell’essere. Per questo motivo propone di riscoprire la “Metafisica della persona”.

Con questo titolo Martínez Porcell, Decano della Facoltà di Filosofia della Cataluña. ha pubblicato un volume, edito da Editorial Balmes, con l’obiettivo di recuperare le intuizioni del santo Tommaso d’Aquino e di “umanizzare le nostre relazioni alquanto degradate”.

La metafisica è in grado di offrire soluzioni che soddisfino il desiderio di felicità e aiutino a superare la stanchezza spirituale dell’Occidente?

Martínez Porcell: La metafisica si propone come una ricerca di certezze che vanno al di là della dimensione fisica, aiutandoci a superare i confini della nostra dimensione spazio-temporale immediata.

Consentendoci di individuare le ragioni ultime della nostra esistenza, in un ambito che va al di là di ciò che è puramente sensoriale, ci offre la possibilità di assaporare l’eterno, di soddisfare il nostro essere spirituale in ciò che ha di trascendente e, in questo senso, ci allontana dalla noia, da questo profondo vuoto che lascia nel nostro interiore la mancanza di un senso ultimo.

Al giorno d’oggi c’è spazio per le certezze?

Martínez Porcell: Viviamo in un’epoca in cui il pensiero debole abbonda in un’apologia dell’effimero.

In qualche modo, la cultura light dei nostri tempi ci propone “l’usa e getta”, proprio del consumismo, come stile di vita, ma si dimentica che le persone non sono di plastica e hanno bisogno e desiderano un ambito in cui il pensiero arrivi a convinzioni solide, capaci di orientare le decisioni e i sentimenti.

La felicità non è un prodotto finale di un cammino, ma è la motivazione che tesse le piccole decisioni quotidiane, per costruire una vita con un senso e una coerenza.

L’umanità rifiuta i grandi racconti da cui prima si imparava a dare coerenza e senso alla vita e preferisce vivere nella “dispersione”, secondo quanto lei afferma. Che alternativa ci offre una metafisica della persona ispirata a san Tommaso?

Martínez Porcell: Effettivamente siamo lontani da quei momenti in cui la ragione illuminava le decisioni che invece oggi sono piuttosto dettate dall’impulsività e dall’emotività o dal sentimentalismo.

Bisogna tornare ad una sana ragione, a un intelletto umile e capace di provare meraviglia di fronte alla realtà.

Concepire la persona, con tutte le sue capacità, come un essere ricevuto in dono dal creatore è ciò che portò san Tommaso a elaborare un’antropologia ordinata e feconda, in cui tutte le capacità personali trovano il loro posto armonico e attivo.

Credo che il personalismo ha in parte ereditato l’intuizione della centralità della persona nell’essere, concetto cardine dell’antropologia tomistica. Recuperare oggi questa intuizione consentirebbe di umanizzare le nostre relazioni alquanto degradate.

La metafisica si avvale di un linguaggio non sempre facile (ens concretum, analogia del subsistens distinctum…). Come si potrebbe renderla più comprensibile?

Martínez Porcell: La metafisica effettivamente utilizza una serie di termini che nel tempo hanno acquistato significati di grande profondità, ma che proprio per questo risultano di difficile comprensione.

Questo pericolo esiste in qualunque scienza che sviluppa i propri tecnicismi, comprensibili unicamente dagli esperti. Ciò nonostante vi sono alcune intuizioni fondamentali che sono accessibili al grande pubblico.

Per esempio, ens concretum significa semplicemente che parlare delle persone non significa filosofare in modo astratto ma riferirsi a ciò che di più concreto e reale esiste. Così anche affermare il subsistens distinctum significa sottolineare che in ogni persona permane un mistero privato e individuale incomunicabile, cosa che corrisponde all’antico adagio secondo cui “l’individuo è ineffabile”.

Cartesio disse “penso, quindi sono”. Nella nostra società consumistica si potrebbe dire “compro, quindi sono”. Come è possibile riscoprire il primato dell’essere sull’avere?

Martínez Porcell: Riscoprire questo primato è la grande sfida per personalizzare le nostre relazioni e smettere di essere meri soggetti di consumo. In questo, credo che potrebbe venire in soccorso l’esperienza di Sant’Agostino, il padre del soggettivismo occidentale, uno degli scopritori dell’interiorità.

L’affermazione di Sant’Agostino, che Dio è a noi “più intimo della nostra stessa intimità”, ci porta a scoprire la dimensione spirituale della persona, a sperimentare ciò che di più autentico c’è della persona, nella sua dimensione interiore.

Fare questa esperienza ci consentirebbe di abbandonare un cammino in cui l’attività di un individuo viene apprezzata semplicemente da orizzonti più consoni alle cose che alle persone.

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ZENIT Staff

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