Algeria: non sono i numeri che fanno una Chiesa

Parla l’arcivescovo di Algeri, monsignor Ghaleb Moussa Abdallah Bader

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ROMA, venerdì, 18 novembre 2011 (ZENIT.org) – In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps, l’arcivescovo di Algeri (Algeria), monsignor Ghaleb Moussa Abdallah Bader, originario della Giordania.

Lei è il primo arcivescovo arabo ad arrivare in Algeria dopo una generazione di gerarchia francese. La gente ha percepito che Lei avrebbe capito meglio la cultura?

Bader: È stata l’intenzione della Chiesa, un segno di rispetto verso questo Paese arabo. La nomina di un arabo dopo un periodo di francesi è stata una risposta ai cambiamenti già in atto in questa Chiesa. Sì, la Chiesa è stata per un po’ sotto i francesi, ma i francesi sono adesso una minoranza, di cui il 40% sono africani, studenti o immigrati e il resto sono cristiani provenienti dall’Europa, dall’America Latina e dall’America del Nord.

Qual è stata la reazione del governo locale?

Bader: Mi hanno dato il benvenuto al mio arrivo in Algeria e il presidente stesso ha inviato un rappresentante. È stata la prima volta che il presidente o un suo rappresentante ha voluto essere presente per accogliere il nuovo arcivescovo. Ho sentito soprattutto un grande amore e un senso di accoglienza per un arabo da parte del popolo. Sono stato definito “il nostro arcivescovo” e persino i musulmani mi hanno definito il loro arcivescovo.

L’ex arcivescovo di Algeri, monsignor Henri Tessier, è stato citato in un articolo del New York Times dicendo che era stato testimone della “lenta morte di una Chiesa”. È questa la situazione della Chiesa in Algeria oggi?

Bader: Dobbiamo capire da dove viene mons. Tessier. Ha trascorso da 70 a 75 anni in Algeria. Era un seminarista ed è stato ordinato in Algeria. Era cittadino algerino e ha avuto un passaporto algerino. Conosceva la storia della Chiesa algerina. Quando era un seminarista c’erano due milioni di cristiani in Algeria, e questa cifra è scesa oggi a poche migliaia di cristiani. Questo è il contesto della sua affermazione e posso capirlo quando ha parlato della morte di questa Chiesa. Tuttavia, la Chiesa sarà sempre la Chiesa. E non dipende dai numeri. È la stessa Chiesa, la stessa missione e stiamo facendo lo stesso lavoro. Quando sono arrivato questa era la realtà della Chiesa. La accetto. Faccio il mio lavoro e non parlo di una morte. La Chiesa è viva, è presente e facendo del suo meglio per il benessere dei suoi fedeli e del Paese.

In Algeria ci sono circa 20 chiese ancora attive. Molte sono state convertite in moschee o centri culturali. Cosa ne pensa?

Bader: Questa è stata una conseguenza del ritorno dei cristiani in Francia dopo la guerra. C’erano chiese senza più alcun cristiano. La Chiesa non aveva l’intenzione di mantenere queste chiese semplicemente perché erano chiese. È stato un gesto della Chiesa quello di donare queste chiese ed edifici per essere usati dalla popolazione. Circa due o tre chiese sono state convertite in moschee. La reazione delle autorità è stata di rispetto: non avrebbero permesso la conversione di queste chiese in moschee ed è per questo che molte delle chiese che sono state date dalla Chiesa alle autorità, sono state trasformate in centri culturali e biblioteche o in ciò che serviva. Ho letto da qualche parte che circa 700 chiese e altri edifici sono stati restituiti alle autorità algerine e messi a loro disposizione per il beneficio della popolazione.

La società algerina si è mutata da una francese – o europea – ad una società araba, incentrata sul Medio Oriente. Questo allontanamento dall’Europa è positivo o negativo?

Bader: Ciò è legato al rapporto storico tra Algeria e Francia. Tutte le decisioni prese dal Algeria dopo l’indipendenza erano una reazione al passato. Volevano essere liberi dal passato e si sono rivolti ad una cultura e lingua araba. Tuttavia, questo non è accettato dal 100% della popolazione ed è per questo che il 90% degli algerini parla francese. Io sono arabo ma il 99% delle volte parlo in francese con la gente, allora il cambiamento menzionato da Lei non c’è stato, almeno per la maggior parte degli algerini. È vero che le autorità vogliono che l’Algeria sia un Paese arabo e islamico e per questo hanno imposto la lingua araba nell’educazione.

Molti dei conflitti percepiti nel mondo arabo vengono visti attraverso il filtro del conflitto israelo-palestinese. È questo anche il caso in Algeria?

Bader: È vero, il conflitto israelo-palestinese contagia le relazioni tra arabi ed occidentali, e tra cristiani e musulmani. Finché non c’è una soluzione a questo conflitto, la sfiducia continuerà. Una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese aiuterebbe molto a rimuovere la diffidenza tra Paesi arabi ed occidentali, e tra cristiani e musulmani. Pertanto, faccio un appello per una giusta soluzione del conflitto israelo-palestinese. Sarà a beneficio dell’umanità intera e non solo della regione.

Il ministro degli Affari religiosi algerino, Ghulamallah, l’ha invitata ad una conferenza per discutere della libertà religiosa. Durante il Suo discorso, Lei ha parlato dell’abolizione delle leggi che pongono restrizioni ai cristiani…

Bader: Il ministro degli Affari religiosi, Ghulamallah, non solo mi ha invitato, ma abbiamo organizzato la conferenza insieme. Abbiamo deciso chi invitare e entrambi abbiamo organizzato il programma.

Il Suo rapporto con il ministro degli Affari religiosi è dunque amichevole…

Bader: Ci incontriamo almeno una volta al mese. Ci scambiamo gli auguri durante le feste religiose per i cristiani e musulmani. Da quando sono arrivato, abbiamo sempre avuto rapporti molto buoni. Il problema ora è la legge del 2006 che limita le pratiche religiose, l’attività o il culto soltanto all’interno delle chiese. Per noi cattolici non è un problema perché abbiamo abbastanza chiese. Il problema si pone però per gli evangelici e protestanti che non hanno luoghi di culto e anche per noi cattolici, quando vogliamo organizzare attività religiose all’esterno.

In che modo questo influisce sull’evangelizzazione?

Bader: È la seconda parte di questa legge del 2006, che stabilisce che tutte le nostre attività – culto e preghiere – devono avvenire solo all’interno della Chiesa. L’evangelizzazione e la conversione sono proibite. Chi infrange questa legge viene punito con una pena in carcere o con una multa di circa 2.000 euro. Durante la conferenza, ho detto che la legge non poteva regolamentare il culto. Questo non era il caso prima del 2006.

Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per Where God Weeps, un settimanale televisivo e radiofonico prodotto da Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN).

www.WhereGodWeeps.org

www.acn-intl.org

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ZENIT Staff

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