Accorato appello dei vescovi alle autorità venezuelane

La decisione del Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) porta alla repressione contro la popolazione

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CARACAS, 10 marzo 2004 (ZENIT.org).- La scorsa settimana, la Presidenza dell’episcopato venezuelano ha lanciato un nuovo, accorato appello al Governo, al Consiglio Elettorale Nazionale (CNE), ai protagonisti politici e ai cittadini affinché riflettano sugli ultimi avvenimenti, che stanno seminando nel Paese caos, repressione, morte e sparizioni sospette.

La recente decisione del CNE di rifiutare un elevatissimo numero di firme presentate dall’opposizione per avallare un referendum di revoca del Presidente Ugo Chávez ha fatto aumentare la tensione in Venezuela. Il Governo ha risposto alle proteste con la repressione.

Dal 27 Febbraio, la Guardia Nazionale ha esercitato una forte repressione in occasione di alcune manifestazioni dell’opposizione, durante le quali si sono registrate anche alcune morti.

Sabato scorso, migliaia di cittadini sono scesi ancora una volta in strada a Caracas – circondati da un cordone di sicurezza – per manifestare contro il Governo di Chávez, mentre i leader dell’opposizione hanno di nuovo chiesto “che si permetta la realizzazione del referendum di revoca”.

L’ex colonnello dei “parà” Hugo Chávez, autore di un tentativo di colpo di Stato nel 1992, amnistiato e successivamente eletto Capo dello Stato nel 1998, è accusato da tempo di aver condotto il Paese alla peggiore crisi economica, politica e sociale degli ultimi 50 anni.

Per riuscire a far convocare un referendum di revoca sono necessarie 2.400.000 firme. L’opposizione ne aveva presentate 3.400.000, ma il CNE (composto da cinque membri, tre dei quali considerati a favore del Governo) ne ha dichiarate valide solo 1.800.000, secondo le cifre diffuse dal quotidiano cattolico “Avvenire”, che descrive il Venezuela come “sull’orlo della guerra civile”.

L’opposizione parla di una “strategia dilatoria” che punta a superare il 19 Agosto; da quel momento, infatti, anche se Chávez perdesse il referendum, secondo la Costituzione – che egli stesso ha fatto approvare – spetterebbe al vicepresidente José Vicente Ranger concludere il mandato. Chávez, inoltre, manterrebbe il diritto di ripresentarsi come candidato presidenziale nel 2006.

Se, invece, la consultazione popolare avesse luogo prima di quella data – che segna l’ingresso nel quarto dei sei anni della durata del mandato presidenziale – e Chávez risultasse revocato, la Costituzione prevede che abbiano luogo elezioni presidenziali immediate.

Secondo il Preside della Facoltà di Scienze Giuridiche e Politiche dell’Università Centrale del Venezuela, Boris Bunimov, la decisione di invalidare le firme, le azioni repressive e l’indifferenza del potere giudiziario di fronte agli abusi d’autorità commessi mostrano come il Venezuela si trovi “in una situazione pre-totalitaria”.

La Presidenza della Conferenza Episcopale Venezuelana ha sottolineato – cfr. Zenit in spagnolo del 4 marzo 2004 – come il CNE abbia “l’obbligo di garantire e facilitare l’esercizio della volontà dei cittadini, nel caso concreto relativamente alla richiesta del referendum di revoca, nel rispetto della Costituzione e delle leggi”.

“Si intravedono, tuttavia – hanno denunciato i vescovi – ombre minacciose nelle esitazioni, nelle contraddizioni e nei cambiamenti estemporanei dei regolamenti e delle regole del gioco nel corso del processo, nei ritardi rispetto ai tempi stabiliti e, soprattutto, nel sovvertimento di due principi fondamentali di tutta la struttura etica e legale: la non retroattività delle leggi e dei regolamenti e la presunzione di buona fede di chi, firmando, ha espresso la sua volontà”.

I prelati venezuelani hanno ricordato, inoltre, il diritto dei membri della società a manifestare “in modo pubblico, pacifico e organizzato” e alle autorità il dovere di riconoscere e permettere l’esercizio di questo diritto, facilitato dalla presenza della forza pubblica, che ha la funzione di “rispettare e salvaguardare le persone” e in caso di illegalità esercitare un potere di dissuasione, “che è ben diverso dall’esercitare un’azione repressiva”.

“Quando, invece, si arriva alla repressione con eccesso di violenza, come sta accadendo in questi giorni, il ruolo della forza pubblica viene snaturato”, hanno aggiunto.

L’opposizione accusa i militari della Guardia Nazionale di “violazione delle leggi e dei diritti umani”, parla di “detenzioni illegali” della “DISIP” (Direzione dei Servizi di Intelligence e Prevenzione) e denuncia l’utilizzo di armi da fuoco da parte delle milizie clandestine (“squadroni fantasma”), riferendo la morte di undici persone ed il ferimento di alcune decine dall’inizio delle proteste.

Secondo la Coordinatrice Democratica – l’alleanza dell’opposizione – ci sono “80 persone detenute illegalmente”. Alcune ONG hanno inviato ad “Amnesty International” una lista di “prigionieri politici” contenente i nomi di 177 uomini e donne arrestati, con accuse poco chiare, durante le proteste avvenute a Caracas e in 12 Stati dell’interno del Paese.

Oltre ai “prigionieri”, la lista contiene i nomi di 18 persone “assassinate o scomparse”.

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ZENIT Staff

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