Abbiamo modo di capire se realmente stiamo seguendo Gesù?

L’abitudine al male induce ad una difficoltà di staccarci da esso

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La liturgia di domenica scorsa parlava della scelta dei posti e la scelta degli inviati al banchetto, per esortare a non seguire logiche di guadagno, ma la logica dell’accoglienza e della condivisione, per diventare realmente disponibili a ricevere l’invito ad entrare nel regno dei cieli. 

L’evangelista Luca sembra volere chiarire meglio i contorni di questo cammino di conversione, al quale è invitato ogni uomo che desidera seguire Gesù Cristo. E questo itinerario richiede una totale adesione a colui che si vuole seguire.

“Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.” (Lc 14, 25-26) 

Queste parole dure, sembrano contraddire apparentemente il messaggio cristiano. Gesù è voluto nascere e crescere in un famiglia umana, è stato sottomesso ai propri genitori, ha vissuto nell’obbedienza e nel rispetto verso suo padre putativo e verso suo madre. Possiamo fare riferimento ad un episodio della sua vita per chiarire cosa significhi odiare. 

Quando all’età di dodici anni Gesù fu trovato nel tempio di Gerusalemme ad ascoltare ed interrogare i dottori della legge, i suoi genitori gli chiesero spiegazioni circa il suo allontanamento. “Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.”  (Lc 2, 48-50). 

Queste parole di Gesù spiegano molto bene che cosa significa odiare il padre e la madre. Odiare, in questo contesto, non significa avere disprezzo, rancore, ingratitudine verso qualcuno, ma vuol indicare un atteggiamento interiore di fedeltà alla volontà di Dio rispetto  ai voleri umani.

Maria e Giuseppe erano convinti che il loro figlio Gesù li seguisse nella carovana che li avrebbe riportarti a Nazareth, mentre Gesù ha ascoltato il comando del Padre celeste che lo invitava a restare nel tempio di Gerusalemme per iniziare a far conoscere la sua vera identità di Figlio di Dio. Ma i suoi genitori, entrambi (viene usato il plurale) non compresero quelle parole e quel comportamento di Gesù. 

Quale sublime insegnamento contiene questo episodio della vita di Gesù valido per tutti i genitori ed i figli di ogni tempo. Ogni figlio è chiamato ad amare, onorare e rispettare i proprio genitori, ma davanti alle scelte della vocazione alla maturità cristiana, deve ascoltare la propria coscienza, e seguire l’ispirazione che Dio ha suscitato nel suo cuore. Quanti genitori rimangono insoddisfatti verso i figli, perché essi seguono cammini diversi rispetto a quelli da loro desiderati. “Ho fatto tanto per farti studiare ed ora entri in seminario”. “Ti ho comprato la casa vicino a noi e tu decidi di cambiare città per seguire tua moglie”. Si potrebbero fare tanti altri esempi per spiegare il senso dell’odiare evangelico, che in ultima istanza vuol dire seguire la volontà di Dio anche quando questa comporta deludere le aspettative dei propri genitori, fratelli, sorelle, moglie, figli. 

Le parole di Gesù dicono qualcosa di più: odiare persino la propria vita. Quanti comportamenti errati ci accompagnano nel corso della nostra vita, atteggiamenti che non vogliamo tagliare pur sapendo che sono nocivi a noi e a coloro che ci vivono vicino. L’abitudine al male induce ad una difficoltà di staccarci da esso. Molte volte preferiamo convivere con il nostro peccato che ci distrugge lentamente, invece di accusarlo e abbandonarlo definitivamente.

Questo significa odiare la propria vita, ossia odiare quella parte della vita che ci porta alla sofferenza, ma che noi non riusciamo a mortificare.

La penitenza, la preghiera e l’elemosina sono le tre pratiche cristiane per attaccare quello che in noi è da cambiare per diventare autentici discepoli di Gesù. 

La seconda parte di questo Vangelo è in linea con la prima. Dopo avere parlato della rinuncia a quanto si ha di caro, viene richiesta la rinunzia ai propri beni. E per spiegare questo vengono riportati due esempi eloquenti: la costruzione di una torre e la guerra tra due regni. 

La torre è una edificio che si costruisce verso l’alto, si innalza verso il cielo, si eleva verso il trascendente. Questo esempio sembra volerci ricordare che il cammino del cristiano non è una cammino in discesa, non è un cammino che arriva verso la bassezza della morte. Il discepolo di Cristo segue durante la sua vita terrena un cammino verso l’altezza e la profondità della croce, per giungere nella gloria del cielo alla resurrezione dei morti.

Quindi per andare verso alto è necessario essere liberi dai beni, alleggerirsi da quelle ricchezze materiali che appesantiscono il nostro cammino. 

La guerra tra due regni ha un richiamo alla lotta quotidiana che il discepolo di Cristo deve intraprendere contro il nostro vero nemico, lo spirito del male, lo spirito di questo mondo. La preghiera del Padre nostro ci insegna che ogni giorno dobbiamo implorare il Padre celeste di liberarci dal male, perché il male è sempre accovacciato alle porte del nostro cuore, sempre il maligno insidia la nostra vita spirituale attraverso pensieri che vogliono indebolire l’amore di Dio per ciascuno di noi. 

Questo combattimento spirituale necessita di un distacco dai beni, perché le ricchezze di questo mondo portano ad un assopimento dell’animo, ad una pigrizia spirituale, ad un chiusura egoistica ai propri bisogni. Questo atteggiamento di rinunzia alla guerra conduce, questa iniziativa di mandare messaggeri di pace verso il nemico, significa scendere  a compressi con il peccato e di conseguenza lasciarsi soggiogare dal male. 

Invece la tenacia e la perseveranza nella lotta sono caratteristiche proprie di coloro che sono consapevoli di possedere nel loro cuore il tesoro più prezioso che esista: l’amore di Dio che è stato riversato in noi per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). Questo è il vero obiettivo della lotta contro il maligno: la difesa della fede, l’accrescimento della speranza e la ferma volontà ad agire sempre nella carità.

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Osvaldo Rinaldi

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