Gli Stati Uniti aprono al matrimonio gay. Ma il Texas si ribella

Di fronte all’obbligo imposto dalla Corte Suprema di celebrare unioni omosessuali, il procuratore texano Paxton invoca il diritto all’obiezione di coscienza per motivi religiosi

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C’è chi dice no. Mentre le tv occidentali mostrano strade di città americane, da San Francisco a New York, imbandite di vessilli arcobaleno per festeggiare la sentenza della Corte Suprema americana, che lo scorso 26 giugno ha legalizzato i matrimoni omosessuali in tutti gli Stati Uniti, il Texas affila le armi contro l’imposizione dei magistrati.
Il procuratore generale repubblicano Ken Paxton ha infatti definito “fuorilegge” il verdetto della Corte, proclamando che i funzionari statali potranno rifiutare le licenze nuziali in nome della “obiezione di coscienza per motivi religiosi”. Il rischio è tuttavia molto alto: i funzionari che sceglieranno questa strada potranno incorrere in multe o sanzioni d’altro tipo. Per questo il procuratore ha assicurato che “molti avvocati” sono disposti a difendere gratis i funzionari che obietteranno in virtù della propria fede.
Osservando che la sentenza della Corte è “senza fondamenti legali”, Paxton ha poi aggiunto: “Noi riteniamo che nonostante abbia inventato un nuovo diritto costituzionale, la Corte Suprema non abbia ancora diminuito, abolito o messo in dubbio i diritti garantiti dal primo emendamento che permettono il libero esercizio della propria religione”. Di qui la promessa del governatore: “Dal mio ufficio farò tutto il possibile per dare voce pubblica a chi si schiera a difesa dei propri diritti”.
 

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ZENIT Staff

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