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È Beato padre Engelmar Unzeitig, "il Massimiliano Kolbe dei tedeschi"

Il sacerdote ceco morì a 34 anni a Dachau per aver denunciato il trattamento dei nazisti agli ebrei. Ieri il rito presieduto dal card. Amato a Würzburg, in Baviera

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È stato beatificato ieri a Würzburg, in Baviera, il sacerdote tedesco Engelmar Unzeitig, dei Missionari di Mariannhill, conosciuto anche come “il Massimiliano Kolbe dei tedeschi”. Come il frate polacco, anche Unzeitig morì nel campo di concentramento nazista di Dachau nel 1945, a soli 34 anni, dopo aver denunciato con vigore per anni il trattamento degli ebrei da parte dei nazisti. Il rito è stato celebrato dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Padre Engelmar era stato dichiarato venerabile da Benedetto XVI nel 2009 e poi martire da Papa Francesco. Nato nel 1911 a Greifendorf, nell’odierna Repubblica Ceca, il suo desiderio era di partire missionario per il mondo. Quando fu ordinato sacerdote nel 1939, a 28 anni, sceglie infatti come motto sacerdotale: “Se nessun altro vuole andare, andrò io!”.
Svolse il suo ministero in Austria e dal pulpito, nelle sue omelie, criticava vigorosamente il Terzo Reich, invitando i cattolici a restare fedeli a Dio e resistere alle menzogne del regime. Fu arrestato nel 1941 e deportato nel lager che negli anni aveva visto passare circa 2.579 tra preti, seminaristi e monaci cattolici, insieme a 141 tra pastori protestanti e preti ortodossi. Di questi, 1.034 sono morti nel campo, facendo diventare così Dachau “il più grande cimitero di sacerdoti cattolici del mondo”.
Nel campo di concentramento, padre Unzeitig si prese cura dei prigionieri, in particolare dei russi, tanto da imparare la loro lingua per assisterli oltre che materialmente, anche spiritualmente. Quando scoppiò l’epidemia di tifo, i malati furono ammassati in un baracca e lì abbandonati; le SS e i kapò si tenevano alla larga da quel focolaio di malattie e infezioni, il sacerdote, rispondendo alla sua vocazione missionaria, decise invece di trasferirvisi per aiutare gli ammalati curandoli, lavandoli o semplicemente pregando insieme a loro.
La febbre tifoidale contagiò anche lui, uccidendolo il 2 marzo 1945, quando aveva appena compiuto 34 anni. Poche settimane dopo, il 29 aprile, gli americani liberarono i detenuti del campo di concentramento il 29 aprile. Nel lager tutti già ne parlavano come di un “santo” o “angelo di Dachau”.
In una lettera, il neo Beato scrisse: “Se solo la gente sapesse che cosa Dio ha in serbo per quelli che Lo amano!”. “Anche dietro i più grandi sacrifici e le peggiori sofferenze – aggiungeva – c’è Dio con il suo amore paterno, che è soddisfatto dalla buona volontà dei suoi figli ai quali dona la felicità”.
“Padre Unzeitig è una scintilla di autentica umanità nella buia notte della dominazione nazista”, ha affermato invece il cardinale Amato nella sua omelia per la cerimonia di beatificazione, “egli mostra che nessuno può estirpare del tutto la bontà dal cuore dell’uomo e il suo martirio ci consegna un triplice messaggio di fede, di carità e di fortezza”.
Unzeitig ha vissuto “il suo status di prigioniero umiliato e oppresso sempre unito a Dio, nella preghiera, nella gioia e nella disponibilità costante ad amare, aiutare, consolare il prossimo”, ha aggiunto il porporato. Egli considerava “la sua condizione di prigioniero come un privilegio per testimoniare l’amore a Cristo”. Per questo “santa Messa, adorazione eucaristica, recita del rosario scandivano i tempi liberi della sua faticosa giornata”.
In un periodo “nel quale essere sacerdote significava persecuzione e morte – ha detto ancora il cardinale – padre Engelmar mantenne intatto l’entusiasmo per la sua missione sacerdotale. La fedeltà agli ideali evangelici gli costò accuse, denunce, la deportazione in due campi di concentramento e, infine, il martirio”. Lui, però, “era fermamente persuaso che alla fine il regno di Dio, regno di verità, di amore e di pace, avrebbe sconfitto il regno dell’uomo, fatto di odio, sopraffazione e morte”.
Come ai suoi tempi, ha notato Amato, “la Chiesa di Cristo viene discriminata, perseguitata, umiliata e annientata. E questo anche nella nostra Europa, spesso dimentica del suo patrimonio di civiltà cristiana”.
 
 

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ZENIT Staff

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