Bishops leave St. Peter's Basilica after a session of the Second Vatican Council.

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Dottrina Fede. Movimenti obbediscano a Pastori, Gerarchie siano più aperte a novità

La Lettera ‘Iuvenescit Ecclesia’ chiarisce la relazione tra doni gerarchici e carismatici, “coessenziali” per mantenere giovane la vita della Chiesa

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Nulla di nuovo sotto il sole, eppure dopo oltre 50 anni era necessario mettere alcuni puntini sulle ‘i’. La Lettera Iuvenescit Ecclesia (La Chiesa ringiovanisce), pubblicata oggi dalla Congregazione per la Dottrina della Fede – ma datata 15 maggio 2016, Solennità di Pentecoste – chiarisce la relazione tra “doni gerarchici” e “doni carismatici” definiti sulla scia di San Paolo “coessenziali” per la vita e la missione della Chiesa. Ovvero quei doni conferiti dal sacramento dell’ordinazione (episcopale, sacerdotale, diaconale) e quelli liberamente distribuiti dallo Spirito Santo.

In altre parole, il documento firmato dal cardinale prefetto Ludwig Müller e dal segretario Luis Ladaria, attingendo al Nuovo Testamento e al Magistero della Chiesa, mette per la prima volta nero su bianco le modalità con cui vescovi e pastori devono comportarsi con quella ondata di novità rappresentata da movimenti e aggregazioni laicali o di vita consacrata fiorite dopo il Concilio Vaticano II, indicando (e rendendo pubblici) anche alcuni criteri di “discernimento” per individuare in essi l’effettiva presenza dello Spirito Santo. Al contempo si chiarisce come questi stessi gruppi debbano relazionarsi alle autorità ecclesiastiche, mettendosi al servizio della missione ecclesiale e inserendosi e non astraendosi dal tessuto delle Chiese particolari.

“Il presente documento – si legge – intende chiarire la collocazione teologica ed ecclesiologica delle nuove aggregazioni ecclesiali a partire dalla relazione tra doni gerarchici e doni carismatici, così da favorire l’individuazione concreta delle modalità più adeguate per il riconoscimento ecclesiale di questi ultimi”.

In particolare, la Iuvenescit Ecclesia si sofferma su questioni teologiche, non pastorali o pratiche, insistendo sull’armonica connessione e complementarietà dei due soggetti, purché nell’ambito di una “partecipazione feconda ed ordinata” dei carismi alla comunione della Chiesa, che non li autorizzi a “sottrarsi all’obbedienza verso la gerarchia ecclesiale”, né conferisca loro “il diritto ad un ministero autonomo”. 

Già il Codice di Diritto Canonico prevede diverse “forme giuridiche di riconoscimento per le nuove realtà ecclesiali che si riferiscono a doni carismatici”. Tuttavia l’ex Sant’Uffizio ha ritenuto necessario rimarcare due criteri fondamentali: anzitutto, “il rispetto della peculiarità carismatica delle singole aggregazioni ecclesiali, evitando forzature giuridiche che mortifichino la novità di cui l’esperienza specifica è portatrice”. In tal modo si vuole evitare che “i vari carismi possano essere considerati come risorsa indifferenziata all’interno della Chiesa”.

In secondo luogo, “il rispetto del regimen ecclesiale fondamentale, favorendo l’inserimento fattivo dei doni carismatici nella vita della Chiesa universale e particolare, evitando che la realtà carismatica si concepisca parallelamente alla vita ecclesiale e non in un ordinato riferimento ai doni gerarchici”.

Tra i doni carismatici, “liberamente distribuiti dallo Spirito”, ve ne sono moltissimi “accolti e vissuti dalla persona all’interno della comunità cristiana che non necessitano di particolari regolamentazioni”, afferma il documento della CDF. Quando però un dono carismatico “si presenta come ‘carisma originario’ o ‘fondazionale’, allora ha bisogno di un riconoscimento specifico”, perché “tale ricchezza si articoli adeguatamente nella comunione ecclesiale e si trasmetta fedelmente nel tempo”.

È qui che emerge “il decisivo compito di discernimento” di pertinenza dell’autorità ecclesiastica. “Riconoscere l’autenticità del carisma non è sempre un compito facile”, sottolinea la Lettera, ma “è un servizio doveroso che i Pastori sono tenuti ad effettuare”. Anche perché i fedeli “hanno il diritto di essere avvertiti sulla autenticità dei carismi e sulla affidabilità di coloro che si presentano come loro portatori”.

A tale scopo l’autorità deve essere consapevole della “effettiva imprevedibilità” dei carismi suscitati dallo Spirito, “valorizzandoli secondo la regola della fede in vista della edificazione della Chiesa”. Un processo, questo, che richiede passaggi adeguati per la loro “autenticazione”, passando attraverso “un serio discernimento fino al riconoscimento ecclesiale della loro genuinità”.

Ciò richiede “un tempo di sperimentazione e di sedimentazione” che “vada oltre l’entusiasmo degli inizi verso una configurazione stabile”. In tale itinerario di verifica, la Congregazione per la Dottrina della Fede chiede che l’autorità della Chiesa accompagni “benevolmente” le nuove realtà aggregative. A quest’ultime viene richiesta invece una “maturità ecclesiale” che implichi anche una “umiltà nel sopportare i contrattempi” che possono sorgere in questi frangenti, dato che il dono carismatico, possedendo “una carica di novità di vita spirituale per tutta la Chiesa”, può apparire in un primo tempo anche “incomoda”.

“La nascita di eventuali tensioni – è scritto nel testo – esige da parte di tutti la prassi di una carità più grande, in vista di una comunione e di un’unità ecclesiali sempre più profonde”. L’umiltà, in tal senso, è “un criterio” che indica l’autenticità di un carisma. 

Un altro criterio è il fatto che tale realtà carismatica sia di fatto uno “strumento di santità nella Chiesa e, dunque, di incremento della carità e di autentica tensione verso la perfezione dell’amore”. Poi che essa realizzi “la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa”, manifestando un chiaro “slancio missionario che rende sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione”.

“Ogni realtà carismatica – si puntualizza nel testo – deve essere luogo di educazione alla fede nella sua integralità, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta”. Pertanto si dovrà evitare “di avventurarsi oltre la dottrina e la comunità ecclesiale”.

Ciò comporta “una relazione filiale” con il Papa “centro dell’unità della Chiesa universale” e con il vescovo “principio visibile e fondamento dell’unità della Chiesa particolare”. Quindi una “leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali”, come pure “la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l’impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani”.

In sostanza viene richiesta una “reciproca collaborazione”, perché proprio la “ecclesialità” di un carisma, ovvero la “capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio”, è “un chiaro segno” della sua autenticità.

A tal proposito, la Iuvenescit Ecclesia si sofferma sul punto della “fattiva inserzione delle realtà carismatiche nella vita pastorale delle Chiese particolari”. Ovvero il fatto “che le diverse aggregazioni riconoscano l’autorità dei pastori nella Chiesa come realtà interna alla propria vita cristiana, desiderando sinceramente di esserne riconosciuti, accolti ed eventualmente purificati, mettendosi al servizio della missione ecclesiale”.

Dall’altra parte, viene ribadito che “coloro che sono insigniti dei doni gerarchici, effettuando il discernimento e l’accompagnamento dei carismi, devono cordialmente accogliere ciò che lo Spirito suscita all’interno della comunione ecclesiale, tenendone conto nell’azione pastorale e valorizzando il loro contributo come un’autentica risorsa per il bene di tutti”.

“La dinamica di questi doni non può che realizzarsi nel servizio ad una concreta diocesi”, afferma poi la CDF. Pertanto “le nuove realtà carismatiche, quando possiedono carattere sovra-diocesano, non devono concepirsi in modo del tutto autonomo rispetto alla Chiesa particolare; piuttosto la devono arricchire e servire in forza delle proprie peculiarità condivise oltre i confini di una singola diocesi”.

Allo stesso tempo, una volta  riconosciuta “la bontà” dei diversi carismi, è una grazia che gli stessi pastori vi possano partecipare in quanto essi “rappresentano un’autentica possibilità per vivere e sviluppare la propria vocazione cristiana”. Questi doni carismatici permettono infatti ai fedeli “di vivere nell’esistenza quotidiana il sacerdozio comune del Popolo di Dio”, si legge nel documento.

In questa linea si collocano anche le aggregazioni ecclesiali particolarmente significative per la vita cristiana nel matrimonio, le quali “possono validamente sostenere con la dottrina e con l’azione i giovani e gli stessi sposi, particolarmente le nuove famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale ed apostolica”. Anche i ministri ordinati “potranno trovare nella partecipazione ad una realtà carismatica, sia il richiamo al senso del proprio Battesimo, con il quale sono divenuti figli di Dio, sia alla loro vocazione e missione specifica”. Infine i candidati al sacerdozio, qualora provenienti da una determinata aggregazione ecclesiale, potranno dimostrare una “fattiva docilità alla propria formazione specifica, portandovi la ricchezza proveniente dal carisma di riferimento”. 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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